Sorelle e fratelli carissimi,
sono trascorsi 40 giorni dal Santo Natale e la liturgia della Chiesa ci invita a celebrare la festa del Signore Gesù che, entrando nel tempio di Gerusalemme, va incontro al suo popolo. Nell’Oriente cristiano questa festa è detta proprio “Festa dell’incontro”. Non è un incontro tra tanti: è l’incontro tra il Dio bambino, che porta novità, e l’umanità in attesa, rappresentata da Simeone e Anna.
Festa che, per il segno della luce che comprende, è detta anche “della candelora”, la festa della luce. Gesù è la luce, che viene ad illuminare la nostra vita e il tempo in cui siamo immersi, tempo di nebbia e di buio. Abbiamo tutti bisogno di questa luce, ne abbiamo bisogno per vedere e capire l’altro. Talvolta siamo convinti di vedere con chiarezza. In realtà siamo spesso immersi nelle nostre convinzioni e abitudini, quasi prigionieri delle nostre certezze, spesso dimentichi degli altri. Ma ogni volta che ascoltiamo la Parola di Dio veniamo sorpresi da una sapienza che non viene da noi. E’ la sapienza che proviene dalla luce del Signore. Gesù ancora oggi ci viene incontro, come avvenne quel giorno nel tempio di Gerusalemme. Non rassegniamoci ad una vita prigioniera dell’abitudine, senza stupore, e quindi senza luce e senza attesa. La nostra fede nasce da questo incontro con l’umanità di Dio, che cambia la nostra vita. Chi incontra davvero Gesù non può rimanere uguale a prima. Gesù è la novità, che fa nuove tutte le cose. Chi vive questo incontro diventa testimone in ogni tempo e rende possibile l’incontro con gli altri, evitando l’autoreferenzialità, che ci fa rimanere chiusi in noi stessi.
Oggi, 2 febbraio, celebriamo la Giornata Mondiale della Vita Consacrata. Lo facciamo insieme a tante religiose e religiosi che operano nella nostra Diocesi. Vi ringrazio per la vostra presenza, ma soprattutto per quello che fate e vivete.
Saluto Padre Gennaro passionista, Delegato Diocesano per la vita consacrata e saluto Suor Maria Rosaria, Segretaria dell’USMI diocesano. Saluto le monache Clarisse di Airola e le Redentoriste di Sant’Agata de’ Goti; saluto le Suore degli Angeli Adoratrici della SS. Trinità, le Suore Francescane Alcantarine, le Suore Francescane dei Sacri Cuori, le Suore Vittime Espiatrici di Gesù Sacramentato, le Suore Francescane Elisabettine.
Saluto Don Antonio Battimiello e don Stefano, saluto tutti voi presenti.
La consacrazione riguarda la persona scelta da Dio per appartenergli ed essere, nella castità, povertà, obbedienza, al servizio agli altri, sua epifania nella storia. Sacre non sono le cose, gli oggetti, i luoghi stabiliti, ma le persone che, scelte da Dio, lo rendono visibile nella testimonianza della loro vita.
È bello, allora, come Chiesa stasera essere qui per vivere questa festa importante e ringraziare insieme il Signore per il dono della vita Consacrata alla Chiesa e alla nostra diocesi. In questo modo facciamo Chiesa, la rendiamo più visibile nella sua missione di testimoniare Gesù e mettere al servizio gli uni degli altri il proprio carisma, la propria vocazione, per aiutarci vicendevolmente in quel “camminare insieme” verso Cristo.
Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci fa entrare nel tempio di Gerusalemme, che per gli Ebrei era il luogo della preghiera, del sacrificio, dell’offerta, ma anche luogo del mercato, luogo dello scambio.
Con l’entrata di Gesù, in braccio a Maria e Giuseppe, il Tempio, fatto di pietre, da luogo di attesa diventa il luogo della presenza di Dio, una presenza che si fa davvero carne in mezzo al suo popolo (cf. Gv 1,14).
Come compie Dio questo ingresso? Ci saremmo aspettati forse cortei festosi e di acclamazione, da richiamare l’attenzione di tutti. Eppure, nulla di tutto questo. Gesù entra nel Tempio, nella Casa di Dio, in mezzo ad una folla indaffarata, distratta, presa dalle proprie cose e, purtroppo, anche dai propri riti. Tanti erano presenti, sacerdoti, leviti, mercanti, pellegrini, devoti, eppure nessuno di costoro si accorse di nulla.
Gesù entra in braccio a sua madre e suo padre, entra per la porta della tenerezza e della semplicità. Così Dio, infatti, vuole entrare nel Tempio della nostra vita: Lui, bambino come gli altri, figlio di due genitori molto semplici, vuole entrare in noi nella bellezza di un abbraccio, nella tenerezza di chi è disposto ad accoglierlo e prendersi cura di Lui.
C’è il rischio, spesso, di abitare i luoghi di Dio, ma essere incapaci di riconoscere la sua presenza, un po’ come l’indemoniato della sinagoga (cf. Mc 1,23-26), che è incapace di vivere la fede, pur stando nei “luoghi” di Dio. Nel tempio ci sono due anziani ad aspettare il Signore. Simeone e Anna. Sono gente dell’attesa, gente che ha avuto speranza, che ha atteso il giorno che avrebbe cambiato la storia. La loro attesa si è nutrita di preghiera e di ascolto. Per questo erano pronti ad accogliere il Signore e si sono affrettati a raggiungere il tempio per incontrarlo. L’attesa ci fa uscire dall’abitudine, quell’abitudine che spesso si insinua anche nella Vita Consacrata e fa perdere la forza dello Spirito, la ricchezza del carisma che ognuno ha ricevuto. Così tutto diventa scontato, ripetizione di un vissuto ereditato, magari anche di una fedeltà meticolosa a una regola, ma senza domanda, attesa, sogno, profezia. Il carisma è prima di ogni cosa un dono dello Spirito che va vissuto nella preghiera e nell’ascolto della Parola di Dio, e non da soli , ma in una comunità di fratelli e sorelle.
Simeone ed Anna sanno scoprire la novità di Dio, quel che è invisibile agli occhi, ma non al cuore. Non sono i sacerdoti ad accogliere il bambino, ma due persone innamorate di Dio, anziani ma con un cuore acceso dal desiderio di Dio. Questo perché si lasciano condurre dallo Spirito.
Condotti dallo Spirito, Simeone e Anna trovano in quel Bambino il compimento della loro lunga attesa e vigilanza. E da quel Bambino, che è la Parola di Dio fatta carne, si lasciano illuminare.
Care sorelle e cari fratelli, ogni carisma è profezia di un mondo nuovo. Siamo ancora profezia per il nostro mondo? I profeti sono gente dell’attesa, gente che non si rassegna al male, che non si sente vittima e non si lamenta per le cose che non vanno, gente che sa ascoltare il grido di dolore che sale da ogni parte del mondo, il grido dei poveri, fanno proprio l’anelito di giustizia e di pace. Per questo sono uomini e donne che credono che la storia può cambiare e che ognuno può essere diverso, può convertirsi anche se è peccatore. I profeti sono uomini e donne che ascoltano Dio che parla, e quindi sono liberi da se stessi, non vivono per difendere quello che sono e che hanno, non si credono giusti e non condannano gli altri, guardano al futuro con speranza. Sì, il carisma della profezia è essere lievito nella pasta, anima in un corpo, è essere luce in un mondo a volte immerso nelle tenebre, è dare speranza, mostrare il volto misericordioso di Dio a uomini e donne scoraggiati e intristiti.
Dobbiamo, allora, imparare da Simeone ed Anna, ad essere veri profeti per il nostro tempo.
Simeone accoglie tra le mani il Dio fatto bambino. È questa la misura della nostra fede. Un Dio tra le mani non è un Dio che noi possediamo e possiamo gestire, ma è un Dio che si incarna nella nostra quotidianità fatta di fatiche e di gioie, di speranze e di delusioni.
Lasciarsi incontrare dall’umanità di Dio significa ravvivare in noi il cammino spirituale, la nostra vita spirituale, evitando così la sempre presente tentazione di una vita isolata e delusa. L’incontro con Gesù mi spinge all’incontro con gli altri. Paolo ci ricorda che la Carità, l’Amore di Dio ci spinge verso gli altri, perché ci possiede (cf. 2Cor 5,14) e ci porta nell’orizzonte del vero discernimento.
Cari amici, a volte, soprattutto in questi tempi, tante congregazioni sentono la fatica e il peso di una crisi di vocazioni. È come se uno si sentisse vecchio e senza forze, senza futuro. Anche Simeone e Anna erano vecchi. Ma si lasciarono guidare dallo Spirito, non smisero di credere di sperare, finché i loro occhi videro il giorno della salvezza, la luce del Signore che piccolo veniva incontro a loro. Mai smettere di rinnovare il proprio carisma, che non è un fare ma un essere; mai smettere di sperare, mai smettere di pregare, mai chiudersi nella tristezza e nell’abitudine! Oggi il Signore chiede di uscire di nuovo per le strade del mondo, per essere lievito, luce, speranza. Il mondo ha bisogno di voi e della vostra testimonianza. Allora, come ha detto papa Francesco, ripeto a voi: “Siate testimoni di un modo diverso di fare, di agire, di vivere! È possibile vivere diversamente in questo mondo”. È possibile vivere anche nelle difficoltà la gioia di Simeone e Anna e comunicarla al mondo. Questo è il vostro compito. Noi vi saremo vicini con la preghiera e l’amicizia, certi dell’importanza e della bellezza della vostra vita.
Siamo convinti che solo l’incontro con Gesù può dare luce al nostro cuore, forza rinnovata alla nostra consacrazione, vivendo ed incarnando questo vero discernimento nello Spirito, che sappia sempre cercare e trovare il Signore in ogni circostanza di vita e ci faccia sempre “contemplativi nell’azione”.
Proprio per questo, in questo tempo forte per tutta la Chiesa, sentitevi interpellati dalle tre parole che caratterizzano il tema del Sinodo: comunione, partecipazione e missione. Fatelo nella specificità della vostra vocazione e consacrazione, mossi dallo Spirito Santo e per questo senza presunzione ma sentendovi sempre corresponsabili.
Faccio mie le parole di Papa Francesco che invita anche voi consacrati ad entrare nel “viaggio” di tutta la Chiesa sulla sinodalità, “con la ricchezza dei carismi e delle nostre vite, senza nascondere fatiche e ferite”. “La partecipazione diventa allora responsabilità: non possiamo mancare, non possiamo non essere tra gli altri e con gli altri, mai e ancor più in questa chiamata a diventare una Chiesa sinodale”. Perché la Chiesa sinodale non sia un miraggio, ma un sogno da realizzare è necessario, come ci ricorda il Papa, sognare insieme, pregare insieme, partecipare insieme, per diventare il vero Tempio di Dio, edificati sulla sua Parola. La bellezza di questa liturgia è proprio in questo essere insieme, tante congregazione e per ogni congregazione una fiammella speciale dello Spirito come quelle che scesero sugli apostoli riuniti in preghiera con Maria nel Cenacolo.
Carissimi, sinodalità è, allora, sapersi in cammino insieme, maturando una fraternità che ha il sapore di famiglia, che rimanda alla famiglia di Nazareth, immagine perfetta della Vita Trinitaria di Dio. È di questo, infatti, che il sinodo può prendere coscienza. Oggi che la pandemia ha accentuato il chiudersi in se stessi, siate profeti di fraternità e di comunione. Le vostre comunità siano spazio di accoglienza, fraternità ed amicizia, profezia di famiglia umana in un mondo di soli.
Preghiamo, allora, per tutti i consacrati e le consacrate della nostra Chiesa perché siate sempre “pietre vive” di una Chiesa, chiamata oggi dallo Spirito Santo a trasformare sé stessa per essere sempre più chiesa di ascolto, comunione e missione, in cui possiamo cantare con gioia, senza mai stancarci: “Vieni Signore nel tuo tempio santo!”
† Giuseppe, vescovo