Educare alla vita buona – Patto per la Pace… per essere Giovani PACIFICATORI

Aula Magna del Seminario diocesano, Cerreto Sannita (BN)
14-05-2022

 

Cari amici ed amiche, cari giovani,

siamo contenti di ritrovarci insieme. Siamo contenti perché abbiamo scelto di incontrarci, parlare e ascoltare, confrontarci, sognare insieme. Siete i rappresentanti del popolo di studenti degli Istituti superiori (L. Sodo, Carafa, Telesia, De’ Liguori, Lombardi, Faicchio) di questo territorio di cui sono vescovo, insieme anche ad alcuni rappresentanti del Movimento studentesco dell’Azione Cattolica. Noi crediamo molto in voi, nelle vostre capacità, forze, ideali. Parlo al plurale perché parlo anche a nome dei miei carissimi sacerdoti che sono qui oggi con noi e che in varie occasioni avete già incontrato. Desideriamo che cresca la nostra amicizia e lo desideriamo senza nessun interesse se non quello di avere un dialogo che sia costruttivo, pacifico, sognatore. Viviamo nella stessa terra, nello stesso tempo e nello stesso mondo. Bisogna viverci bene; bene vuol dire viverci insieme.

Viviamo in un tempo che continua ad essere sospeso, incerto. Finita la pandemia o per lo meno l’incubo della pandemia ecco un nuovo incubo, la guerra. Alle porte della nostra Europa. In Europa.

Difficile guardare al futuro con serenità. Una situazione di incertezza, continuata, crea insicurezza.

A noi non piacciono le ingiustizie, pensiamo che il mondo debba essere migliore. Noi crediamo che tutti hanno diritto ad una vita piena, intera, felice, sicura. E che nessuno sia solo.

Ma ci sono tanti che vivono a metà, a cui una parte della vita è negata.

La vita dei bambini ucraini non è in fondo una vita a cui manca una parte? Manca la possibilità di studiare, di crescere insieme nella propria casa e terra. E questo è come negare un futuro migliore.

O i bambini nati in Siria negli ultimi 15 anni? Sono ormai anni che lì c’è guerra: un’intera generazione a cui hanno tolto una parte di vita, di futuro. Quanta vita negata, a chi è fuggito ma anche a chi è stato ingannato dall’idea che con la violenza si potesse rispondere al proprio desiderio di futuro.

Ma penso agli anziani, quanta vita è stata loro negata nel lasciarli soli, in istituto o a casa.  Ma penso ai tanti giovani della vostra generazione chiamati a misurarsi con sfide impensabili fino a poco tempo fa, sfide rese più difficili perché vissute in un clima di solitudine e quindi di fragilità.

Siamo al terzo mese di conflitto in Ucraina e forte è anche il rischio di abituarsi alle terribili scene di morte e distruzione che giungono dall’Ucraina e da altre zone di conflitto, ma questo va contrastato. Non possiamo mai rassegnarci alla guerra, non possiamo accettare che si evochi un’escalation del conflitto con tanta leggerezza. Questa è la convinzione che ci spinge a incontrarci oggi, non solo perché vogliamo insieme confermarci nel nostro no alla guerra, ma anche per capire cosa possiamo fare per il futuro perché non succedano più cose così terribili. Quando parliamo di futuro è il nostro futuro, e siamo anche consapevoli che il futuro è oggi che si costruisce. Se voglio un buon raccolto domani è oggi che devo seminare del buon grano. La guerra non è un destino, i confitti, la violenza non sono un destino; la contrapposizione non è un destino. Tutto nasce in cuori bellicosi, in cuori cioè che non sanno gestire se stessi, i propri sentimenti e risentimenti; che non sanno avere a cuore il bene comune, cioè il bene di tutti, prigionieri solo della difesa del proprio benessere e di chi ci appartiene, del proprio gruppo, di quelli che sappiamo riconoscere come i nostri simili. La tentazione della separazione è sempre molto forte. A Varsavia, nella stazione, a dormire sui cartoni era rimasti solo i profughi rom. Gli altri avevano trovato tutti accoglienza. Ma le scelte possono cambiare, si possono fare scelte diverse, si possono fare scelte di pace. Io credo, ma questo lo chiedo anche a voi: non c’è la necessità di dire basta ad un modo di essere, di vivere, di pensare? Non ritenete necessario dire basta ad una cultura che emargina, discrimina, che crea solitudine ed amarezza? Non è venuto il momento di dire basta ad uno stile di vita che non solo sta rubando il presente, ma che sta addensando nubi fosche anche sul futuro, il nostro futuro? Il mio, il vostro, il nostro? Non è venuto il momento di rimboccarsi le maniche, e diventare ognuno protagonista della propria vita, della storia, del futuro? Forse da soli si può pensare di essere irrilevanti, di contare poco; per questo stiamo qui, studenti in rappresentanza di tutti gli Istituti Superiori della nostra Diocesi. Siamo un popolo di studenti, siamo tanti, insieme possiamo fare molto. Un prete ucciso dalla camorra diceva: se ognuno può fare qualcosa, insieme possiamo fare molto.

Non vogliamo essere protagonisti di una rivoluzione, non armata, ma pacifica; una rivoluzione culturale, di pensiero, di sentimenti, di cuori? Papa Francesco ha recentemente lanciato l’invito a “chiedere a gran voce la pace, dai balconi e per le strade!”. Don Bosco parlando di giovani diceva i ragazzi non sono vasi da riempire, ma fuochi da accendere. Per questo siamo qui, per accendere insieme, se ritenete opportuno farlo, il fuoco della pace, che a differenza del fuoco della guerra non distrugge, ma illumina e riscalda i cuori e la vita. Non vogliamo provare a fare nostro un sogno che prepari il futuro per la nostra casa comune? Per il mondo non quale dovremo vivere domani? Forse ci pensiamo inadeguati ma  tu vali , tu sei importante; voi valete, voi siete importanti. E’ quello che pensiamo ed è da qui che vogliamo partire. Tu, voi valete; tu, voi siete importanti. Diceva una persona molto saggia: Ciascuno di noi, infatti, deve avere il coraggio di scegliere tra le tre strade possibili, che sono quella bianca del bene, quella nera del male e quella grigia, che definisce la via più comoda di coloro che non vogliono rischiare, la cui vita scorre silenziosa senza lasciare il segno ed è questa una strada molto rischiosa.

È la strada di chi si accontenta di non fare il male. Senza impegnarsi nel fare il bene.

Si parla troppo, e con troppa leggerezza, a oriente e in occidente, di una terza guerra mondiale. Si resta raggelati a leggere delle simulazioni sui giornali, a vederle spiegate in tv e a scorrere i commenti sui social.

Il pianeta è pieno di armi immensamente pericolose, e, come stiamo scoprendo, siamo su una polveriera e ogni miccia è fortemente pericolosa.

Durante il conflitto, Francesco ha ripetutamente insistito sul fatto che la guerra non solo è inutile (i conflitti possono essere risolti nel dialogo), ma è sempre ingiusta, anzi è una “pazzia”.

La pace più imperfetta è meglio di una catastrofe certa, e gli eroi sono quelli che non uccidono, ha detto qualcuno. Vogliamo ascoltare il grido angoscioso che, da tutti i punti della terra, dai bambini innocenti agli anziani, dalle persone, alle comunità, dai giovani, sale verso il cielo: Pace! Pace! Pace! quante sono le persone nel mondo che soffrono a causa dei conflitti? Quanti civili innocenti? Quanti bambini? Quante guerre sono oggi in corso? Quale futuro? E cosa posso farci io che non ho nessun potere?

Sembra impossibile contrastare la guerra, vero? Eppure la pace non è uno slogan da gridare, ma è responsabilità di tutti, perché la guerra è nemica di tutti ed è chiesto a ognuno di noi di essere operatori di pace. Anche ai ragazzi come possono essere dei liceali, non solo ai vertici della politica. Stiamo capendo meglio che non è sufficiente essere pacifisti, bisogna essere pacificatori. Non è sufficiente dire che sono contro la violenza, ma bisogna operare per la pace, per il bene, bisogna costruire legami di amicizia con tutti, con chi è forte e con chi è debole; con chi è ricco e con chi è povero; con i sani e con i malati; con i simpatici, ma anche con gli antipatici, senza mai tollerare o dare per scontato atti di violenza verso qualcuno.

Nella vita si raccoglie sì ciò che si semina, ma si raccoglie ancora meglio ciò di cui si ha cura. E per ottenere la pace ci vuole una cura grandissima.

Occorre iniziare dai piccoli gesti di ogni giorno; tutti possono fare qualcosa, anche i più piccoli. E gesto dopo gesto la pace aumenta, si espande e si allarga a tutto il mondo. Dicono che per far finire la guerra bisogna fare più guerra, ma noi pensiamo che non è vero che guerra più guerra fa pace, in Ucraina e ovunque, ma guerra più guerra significa solo un più grande massacro di vite umane. Molti dibattono e dicono: allora come lo fermate voi Putin? Lo fermate con le preghiere, con le marce per la pace, con le carovane dei pacifisti, con le emozioni della Caritas che portano cibo e medicine in Ucraina e riportano indietro in salvo i disabili e ancora altri profughi? Lo fermate con la diplomazia degli smidollati disposti a parlare con il criminale del Cremlino? Lo fermate con le buone intenzioni, con le buone azioni quelle che le nonne le madri Le maestre ci insegnavano e ancora ci insegnano quando siamo bambini?

Sembra tutto molto ragionevole, ma c’è da rispondere: ma voi che avete come unica risposta la guerra e tutte le armi e tutte le strategie tutte le ragioni e tutti i calcoli giusti, lo avete forse fermato Putin? O vi state facendo suoi soci della nuova guerra?  voi lo state fermando con le vostre armi?  Voi che vorreste proibirci anche solo di dire che una terra più piena di armi non è un posto sicuro ma è un mondo che non sa vivere la pace e dunque si prepara a far perdere all’umanità la prossima guerra? Il Papa giunge a una proposta che sembra utopica: «L’umanità comprenda che è giunto il momento di abolire la guerra, di cancellarla dalla storia dell’uomo prima che sia lei a cancellare l’uomo dalla storia».

Abbiamo come obiettivo promuovere non semplicemente l’ideale della Pace, ma la Cultura della Pace nel nostro territorio in generale e, in particolare, nell’ambito delle scuole e dei contesti sociali e culturali in cui viviamo e operiamo.

Sulle gambe degli studenti e dei giovani cammina il futuro. Educare, quindi, per costruire un futuro di Pace riguarda la vita delle prossime generazioni, ma sappiamo che la responsabilità di quel futuro è in gran parte nelle mani delle generazioni presenti, cioè nelle mani nostre, poiché i nostri comportamenti condizioneranno fortemente la loro vita.

Oggi noi vogliamo provare a piantare dei semi. Forse non raccoglieremo nell’immediato il raccolto sperato. Ma se oggi noi non seminiamo, iniziando a rassodare il terreno duro, nessuno domani potrà raccogliere.

Se ci riusciamo vorremmo questa mattina produrre un Manifesto, che sia un Patto per la Pace che vogliamo fare insieme, un patto studenti e Chiesa diocesana, che – attraverso piccole scelte che verranno elaborate stamattina – sia una bussola capace di orientare il cammino della vita verso sentieri di pace. Siamo responsabili del futuro, vivendo pienamente il nostro presente con maturità e speranza, consapevoli che se siamo mossi da valori di giustizia, pace, solidarietà, inclusione e cooperazione, questo ha un impatto vero e concreto nel mondo e nella società. Ricordiamo la giovane Greta, che ha saputo creare una sensibilità verso l’ambiente.

Pace vuol dire imparare a vivere promuovendo il rispetto della dignità e dei diritti fondamentali di ogni persona, riconoscendo e valorizzando le diversità. Pace, è imparare a prendersi cura veramente di noi stessi, degli altri e del mondo in cui viviamo.

La scuola è il luogo speciale di questa educazione alla cultura della Pace, poiché è un laboratorio di relazioni, una palestra di vita.

† Giuseppe, vescovo