Commemorazione di tutti i fedeli defunti

02-11-2021

Care sorelle e cari fratelli,

la chiesa, madre e maestra di tutti noi, nella sua saggezza unisce la festa di tutti i santi, che abbiamo celebrato ieri, alla memoria dei defunti, quasi per anticipare nella preghiera quello che noi saremo dopo la morte, quando ci troveremo in comunione di vita con il Signore e lo vedremo faccia a faccia. La liturgia ci invita a guardare oltre la morte, quando il nostro corpo mortale sarà trasformato, per non vivere nella paura, che fa chiudere in se stessi e vivere per se stessi. Siamo qui al cimitero di questa nostra città, dove preghiamo in comunione con tutti coloro che ci hanno lasciato. Ognuno di noi ha davanti agli occhi i suoi cari, gli amici, i parenti che ci hanno lasciato. Ma ricordiamo anche coloro che sono dimenticati, come chi muore nelle guerre, per la fame, per la violenza e le ingiustizie, per la povertà e le malattie; ricordiamo anche chi muore nel Mediterraneo nei viaggi della speranza. Il cimitero è entrare nell’altra città degli uomini, quella città che ricorda il nostro passato, che conserva i nostri cari, le radici più profonde della nostra storia, personale e comune e ci apre al futuro. I nostri cari ci sono vicini e ci ricordano di non perdere mai di vista la meta ultima della vita che non è la terra, ma il cielo nella città di Dio. Il cimitero infatti, che significa dormitorio, è il luogo da cui siamo chiamati a guardare non solo al passato, ma anche al nostro futuro quando incontreremo di nuovo i nostri cari , staremo per sempre insieme, e niente ci potrà più separare. Oggi giorno della memoria, è il giorno in cui si prega e si ricordano coloro che hanno camminato con noi, che ci hanno accompagnato per un tratto più o meno lungo della nostra strada, tutti quelli da cui abbiamo imparato qualcosa, tutti coloro che ci hanno lasciato qualcosa in dono. La memoria è la nostra storia, una storia diversa ed uguale per ognuno, una storia che ci racconta che non siamo soli, che ci riporta alle nostre radici, nello stesso tempo ci ricorda che la nostra vita ha una fine, che non dobbiamo sprecare neanche un attimo per raggiungere lo scopo stesso della vita, cioè la nostra salvezza, quando saremo morti non potremo fare più niente, quello che dobbiamo fare facciamolo adesso e bene, non siamo eterni, lo siamo solo nella memoria di chi ci ha amato.

La morte, care sorelle e cari fratelli, ci unisce. In un mondo diviso come il nostro, quando la pandemia ha accentuato la distanza tra gli uni e gli altri, ci scopriamo qui, in questo luogo, non persone isolate, bensì parte di un unico popolo, con  un destino comune da cui nessuno si può sottrarre.  In Cristo c’è una misteriosa solidarietà tra quanti sono passati all’altra vita e noi pellegrini in questa: i nostri cari defunti, dal cielo continuano a prendersi cura di noi. Loro pregano per noi e noi preghiamo per loro e con loro: Questo legame di preghiera lo sperimentiamo già qui, nella vita terrena: preghiamo gli uni per gli altri, domandiamo e offriamo preghiere…

Davanti alla morte niente più ci separa, non conta nemmeno più chi sei stato, davanti alla morte siamo tutti uguali. Il Signore è venuto ad asciugare le nostre lacrime, e ci annuncia che nella città che ci attende non ci sarà più morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate. Certo, noi ancora facciamo esperienza del dolore, dell’affanno, del lutto, della morte, ma per questo non separiamoci mai da questo popolo che è la Chiesa. Questa liturgia ci chiede di rinnovare la nostra speranza nella presenza del Signore che avrà cura di noi. La speranza che è un dono: noi non possiamo averla. È un dono che dobbiamo chiedere: “Signore, dammi la speranza”. Ci sono tante cose brutte che ci portano a disperare, a credere che tutto sarà una sconfitta finale, che dopo la morte non ci sia nulla… La speranza “non delude”, ci dice  Paolo. Ci attira e dà un senso alla nostra vita. Io non vedo l’aldilà, ma la speranza è il dono di Dio che ci attira verso la vita, verso la gioia eterna.

Questa certezza è un dono di Dio, perché́ noi non potremo mai avere la speranza con le nostre forze. Dobbiamo chiederla. La speranza è un dono gratuito che noi non meritiamo mai: è dato, è donato. È grazia.

Gesù oggi è come se salisse di nuovo sul monte, e noi ci avviciniamo a lui come i discepoli e lo ascoltiamo, mentre ci rivolge parole che stupiscono. Nelle beatitudini viene proclamata infatti una felicità così diversa da quella che ci viene proposta ogni giorno, cercata con affanno e mai raggiunta pienamente. Sembra infatti impossibile essere beati, cioè felici, se poveri, afflitti, miti, misericordiosi, puri di cuore, perseguitati per il vangelo. Il mondo ci insegna ben altro! Ci insegna che ciò che conta sono la ricchezza, l’arroganza, la durezza, l’interesse per sé, che provocano tanta ingiustizia, il conflitto e il litigio e non la pace. Care sorelle e cari fratelli, i poveri, gli afflitti, i miti, gli affamati e assetati di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati per la giustizia sono in verità i beati che fanno già parte della città del cielo. A noi, discepoli del   Signore Gesù, viene chiesto di lasciarci attrarre da questo popolo unito, ribellandoci all’individualismo che ci vorrebbe divisi.

Identificandosi nel buon pastore, che libera le pecore dal recinto di sé e che le fa entrare nella vita per la porta che è lui, Gesù definisce la sua missione: “io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Gesù non è venuto a insegnare solo, ma a dare la vita, a salvare la vita mia e nostra ora, salvare la vita dopo la morte. Gesù aiuta a capire che cosa sia la vita. Risveglia la passione e l’entusiasmo per la vita in abbondanza, propria e altrui. È la felicità di dare in abbondanza e di ricevere, che si prova ad ogni età. Questa è la vita profetica, che siamo invitati a vivere. È l’inizio del mondo nuovo.

È un vivere che non ha paura, perché la vita continua. Tante volte ai funerali si sentono prediche elogiative di quello che il defunto ha fatto. Non si parla di altro. Ma esiste un oltre. Gesù non vuole perdere niente di noi: “E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo resusciti nell’ultimo giorno. Questa è infatti la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo resusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,40).

La morte è vedere Dio. Dice Gesù: “chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me non morrà in eterno” (Gv 11, 26). Dice Gesù a Marta dopo la morte di Lazzaro: “Credi tu questo?”. Crediamo noi questo, dopo le tante morti del mondo della pandemia, del dolore e della guerra? Chi crede in lui e abita in lui e non in se stesso, non si spegnerà ora e non morrà, ma vivrà una vita che dà la vita. La vita sarà più larga di una piccola vita: effusiva di bene. Ma sarà anche più lunga di una piccola vita: “chi crede in me, anche se muore, vivrà”.

Care sorelle e cari fratelli, oggi nella commemorazione dei defunti e dopo la festa di tutti i santi, aspiriamo alla santità, per  guardare al futuro con speranza e con la certezza che il Signore non permetterà al male di soffocare i tanti segni di bene che noi suoi discepoli custodiamo. La nostra beatitudine sarà la gioia di continuare a vivere in questo popolo di umili e di poveri, santificato dalla presenza di Dio e reso forte dal suo amore che ha vinto la morte.

Cosa resta di noi?

† Giuseppe, vescovo