SI PRESE CURA - In cammino da Gerico a Gerusalemme

“Lo portò in un albergo”

Come non pensare alle nostre parrocchie, chiamate a diventare “locande”, cioè luoghi in cui la comunità intera può imparare alla scuola del samaritano.

Il gesto del samaritano ci ricorda che tutti siamo chiamati a scegliere la via dell’accoglienza,

la via del servizio gratuito. 

(DALLA LETTERA PASTORALE DEL VESCOVO MIMMO “Coraggio. Alzati, ti chiama!”)

Dopo un po’ di cammino insieme, le strade del samaritano e dell’uomo massacrato di botte e derubato si stanno per separare. Ma prima, continuando ad amare gratuitamente e disinteressatamente, il samaritano lo porta in un albergo, o meglio al tutti-accoglie, il luogo dove ognuno ha diritto di entrare e trovare posto. Il luogo che diventa strumento di accoglienza, carità in movimento, generosità senza riserve, impegno concreto, servizio gratuito, forza disarmata e disarmante. Forza come quella raccolta nel grande coraggio della famiglia di Francesco, nel temperamento di Assunta, nella tempra di Iva.

Una “chiesa-locanda” che vuole provare ad essere ospitale e aperta, accogliente e viva, presente per abitare il nostro territorio. Ma l’accoglienza e il servizio sono un’operazione “a cuore aperto”, e per questo molto pericolosa. È lasciare che il dolore e la sofferenza dell’altro entrino nella mia locanda per diventare i miei. È lasciarsi coinvolgersi, è partecipare. Ma questo può avvenire perché, prima, il mio dolore è diventato quello di chi mi ha amato e salvato. È l’amare senza misura la misura dell’amore. Oltre l’amore, l’amore.

Per questo la parabola prima di essere letta come direzione del nostro agire (“che cosa devo fare?”), è da ascoltare come racconto dell’agire di Dio per noi (che cosa ha fatto Dio per me?). Ci viene chiesto non solo di cambiare lo sguardo, ma di cambiare la posizione di ascolto. Ed ecco che lo spezzare il pane diventa il lavarsi i piedi a vicenda. Rito del Giovedì Santo che ha senso e compimento solo se viene celebrata concretamente la vita. La vita di Elisabetta, Mariachiara, Luigi, Sofia, Michelino, Sara e Alessandra, alcuni dei “ragazzi speciali” ai quali questo pomeriggio il vescovo Mimmo ha voluto lavare i piedi.

Diceva don Tonino Bello: “Solo quando hanno asciugato le caviglie dei fratelli, le nostre mani potranno fare miracoli sui polpacci degli altri senza graffiarli. E solo quando sono stati lavati da una mano amica, i nostri calcagni potranno muoversi alla ricerca degli ultimi senza stancarsi”. Laddove non c’è la vita della presenza, c’è l’aridità dell’assenza. Laddove non ci si prende cura, c’è il disinteresse. È l’intero sistema che deve cambiare direzione, uscire dall’indifferenza, dalla propaganda del disumano e del disprezzo, dall’apostolato delle ingiustizie, dal rito del non sentire come mio l’urlo affilato degli altri.

Le strade del samaritano e dell’uomo trovato per strada si stanno per separare. La via del cuore è quella che non li separerà mai. Si prenderanno per sempre cura l’uno dell’altro. Siamo capaci di ritrovare la speranza solo se ci lasciamo amare. E’ questo il segno di speranza più evidente di un Dio che non abbandona, che non ci molla, che non lascia nessuno indietro, che intreccia il suo respiro con il nostro, che asciuga e raccoglie le lacrime di tutti i cammini. E le trasforma in sentieri di rara bellezza. Le grida tormentate aspettano di essere ascoltate dai nostri occhi. Non dimentichiamolo!