SI PRESE CURA - In cammino da Gerico a Gerusalemme

“Tirò fuori due denari (pagò per lui)”

“Pagò per lui” è l’espressione più alta dell’amore e della giustizia. L’agire del samaritano continua ad interrogare tutti. Egli non aspetta corrispondenze nell’amore, paga e anticipa, accantonando i suoi progetti. 

(DALLA LETTERA PASTORALE DEL VESCOVO MIMMO “Coraggio. Alzati, ti chiama!”)

“Sentì il dolore nella musica,
si alzò dal pianoforte.
Ma quando vide la luna uscire da una nuvola,
gli sembrò più dolce anche la morte.
Guardò negli occhi la ragazza,
quegli occhi verdi come il mare.
Poi all’improvviso uscì una lacrima
e lui credette di affogare”.

L’amore. Quello senza calcoli non chiede garanzie. Paga, anticipa e ci rimette. Ma non recrimina, non si lamenta. Chi ama è sempre quello che paga il prezzo più alto. E lo paga in prima persona e di tasca propria. Come ha fatto il samaritano. Come ha fatto Cristo. Pagare con la propria vita è accorgersi che ogni uomo, in quanto mio fratello, è un pezzo di me e non può non interessarmi. Nulla di ciò che è umano può essermi estraneo.

Un provare a “prendersi cura” che questa mattina, per il vescovo Mimmo, s’è tradotto nell’ascoltare le confessioni di tante persone nella Cattedrale di Cerreto e far sentire loro il soffio del perdono di Dio. L’amore è donato anche da chi vuole condividere la sofferenza interiore di chi soffre, conosciuta o sconosciuta che sia. Il samaritano vede un po’ di se stesso e delle sue sofferenze in quel mezzo morto per strada, pur non sapendo assolutamente nulla di lui e nemmeno il perché è li per terra.

Il samaritano, con la sua compassione e con il suo impegno concreto nel prendersi cura di quest’uomo, sta lì a risvegliare la nostra coscienza da quell’indifferenza che ci rende complici dei briganti. E così il non vedere, sentire e parlare diventa complicità, connivenza, favoreggiamento. Davanti alle ferite e alle fatiche non c’è molto da ragionare, ma tanto da mettersi in movimento. Poi ricerchiamo le ragioni, ci formiamo per informarci, chiamiamo alla corresponsabilità. Ma possiamo farlo solo se c’è, anzitutto, una nostra responsabilità personale.

Il samaritano l’ha avuta prendendosi cura di un perfetto sconosciuto trovato, un giorno, per caso lungo quella strada. Il giorno per caso diventa quell’appuntamento che il Signore ha fissato nella nostra vita: un incontro inaspettato con due occhi vicini e veri, una parola che attendevi e che arriva quando ormai non ci speravi più da una persona che non ti aspettavi, una telefonata o un whatsapp d’incoraggiamento che mai avresti immaginato di ricevere, un abbraccio che non credevi sarebbe mai arrivato e che ti disorienta. Anche questi sono segni concreti della presenza di Dio nella nostra vita.

La solidarietà da sola non basta se non è radicata nella relazione, cioè nel riconoscimento dell’altro che ho di fronte, chiunque esso sia e qualunque cosa abbia fatto. Solidarietà richiama una pastorale d’insieme insieme, una progettualità che non può essere improvvisata perché stiamo parlando della vita delle persone, della loro carne, del loro sudore, delle loro lacrime, del loro sangue. Prendersi cura significa investire sull’uomo, significa avere fiducia nell’umanità, nonostante tutto. Dare una possibilità alla meraviglia, nonostante tutto.

Ed è subito incanto quando l’incontro casuale diventa saldamente relazione, prossimità e accoglienza. Una cura che deve avere come base solida l’ascolto, l’annuncio e il servizio.