L’amore che ridona vita a questo tempo – I Lettera di Avvento 2020

26-11-2020

È il tempo della grande prova, tempo in cui un solo istante basta per farti sentire che tutto attorno a te sta cambiando. Un solo istante per mettere in discussione le cose che fino ad oggi erano divenute umana certezza. Abbiamo programmato, messo in piedi i sogni più belli e realizzato finanche i bisogni indotti. Non abbiamo avuto a volte neanche il tempo di guardarci troppo attorno, camminando a ritmi frenetici, tenendo le distanze da chi attorno non è riuscito a starci, vivendo in una condizione di solitudine che nessuno mai ha voluto riconoscere.

Arriva così questo Tempo di Avvento, nell’incertezza dei giorni. Il tempo di una nuova attesa, un’attesa a mani vuote per accogliere il Dono, a cuore nudo per spogliarti delle tue paure e dare vita ad una rinnovata speranza. Nelle inquietudini e fatiche di questi giorni, l’Avvento viene come tempo ridonato alle nostre mani, al nostro cuore, alla nostra vita.

Attendi. Rallenta il tuo passo distratto e frettoloso e non perché costretto dalle restrizioni. Posa i tuoi occhi sulle cose piccole e fragili, sui dettagli che fanno la tua vita. Ferma i pensieri spietati che danno giudizi invece di consolazione. Attendi. Apri le mani ed accogli la vita dell’altro. Tieniti ancorato al cuore di chi ti sta accanto per sentirne la forza e la paura, per asciugarne le lacrime e sorridere insieme, per donare sollievo ed accogliere la grazia che sgorga dai passi condivisi. Attendi. Prova a cogliere il significato di questo tempo. Vivi con attenzione. Attento alle persone, alle loro parole, ai loro sguardi, ai loro silenzi, alle domande mute e alla ricchezza dei loro doni. Non sprecare il dono che ogni vita racchiude in se. Attendi. E nell’attesa ti riscoprirai atteso anche tu.

Avvento vuol dire avvicinarsi, venire vicino. Un tempo di incamminati, in cui tutto si fa più vicino: Dio a noi, noi agli altri, noi a noi stessi; in cui impariamo che cosa sia davvero necessario: accorciare distanze, tracciare cammini di incontro. Avvento è, prima di tutto, il farsi prossimo di Dio. È sempre Dio che mi viene incontro, si carica della distanza, s’incarica di tutti i passi. Ricuce i lembi della lontananza. Dio di tenerezza infinita.

E non posso non pensare a te, Francesco. A te che una notizia ha stravolto la vita, costringendoti a mettere da parte le cose belle che ti circondavano. Tutto ciò come fosse una voce “misteriosa” a pervadere il tuo essere, sollevando inquietudini, incertezze, paure, le tue come le mie. Perché è così che accade, è come se giungesse quella voce “misteriosa” annunciando “nobilmente” il contagio e traslando per la paura.

E penso a te, Antonella, che trascorri le ore di questi giorni distante dalla quotidiana vita, fino a sentirti in colpa per le cose che “trascuri”, facendo fatica a distinguere quel groviglio di emozioni che in un istante ti attanaglia la gola, mentre con il corpo sei costretta a sparire, come fossi dietro un sipario nel quale, ultimo ad abbassarsi, è lo sguardo. E porti con te la solitudine, accompagnata dalla paura di chi non sa cosa sarà del suo domani. Baci e abbracci, assumono il volto nuovo delle armi e lo spazio che ti racchiude, distante da parenti ed amici, l’unico atto d’amore. L’apparenza, il potere, il denaro, finiscono per non avere più valore perché la paura toglie il respiro e solo “l’ossigeno” diviene alito di vita. E stai lì ad aspettare, ed io con te, a cogliere la vibrazione delle parole a tratti spezzate dall’emozione. Tutto si realizza in una conversazione telefonica alla quale non chiederesti altro che restituirti quel volto al quale senti di voler dare calore, il volto dei tuoi bambini, il volto di tuo marito, il volto dei tuoi genitori segnati dall’ennesima ruga di apprensione. E al termine di quella conversazione, che ti restituisce quantomeno la voce, è ancora solitudine: la tua, quella di chi ti ama, la solitudine delle persone che fuori attendono che tu ritorni, la solitudine di chi si accontenterebbe di avere notizie nuove. La stessa speranza, a tratti è vissuta in una umana solitudine. E comprendi che il concetto di cura, di relazione, di amore, è anch’esso cosa nuova perché passa da un nuovo concetto di solitudine, e ne scorgi anche la luce. E sai che la speranza non può cedere il passo all’angoscia.

Nello scambio di parole sei proprio tu Francesco, sei tu Antonella, ad insegnarmi con la tua stessa vita che è tempo di fermarsi, di non avere fretta, perché solo nella paziente attesa, si scorge il valore della reciproca custodia. Quella pazienza attiva, libera e responsabile; quella pazienza che è forza di stare dentro alle situazioni di vita che implicano sofferenza, prova, dolore, senza negarle, senza aver paura di chiamare in causa anche Dio, ma gridando a gran voce il desiderio di uscirne, la volontà di portare avanti quel senso di vita che non vuole cedere alla rassegnazione. Fede è anche imparare a gridare a Dio il proprio dolore. E nella notte della prova, nel momento della sconfitta o della malattia, si può volgere l’animo in avanti; nel giorno della crisi, della separazione, si può rivolgere il cuore ancora verso qualcuno.

E intanto ricostruisci i legami del cuore e sai che lo sguardo può rimanere fisso su quel volto di Dio. Perché smetti di crederti forte e che ce la puoi fare da solo. E riscopri il bisogno dello sguardo degli altri, e lo ritrovi quello sguardo, dando valore alla forza e alla bellezza dei legami: parola bella che sa di libertà. Sa di relazione vera, sa di cura. Sa di speranza.

E sei tu, giorno dopo giorno, ad indicarmi che non è la vita ad essersi fermata; sei tu che dal retro del “sipario” rifletti sul palco della vita, a lettere cubitali, che la custodia di quest’oggi non può che essere quella del cuore, mentre l’amore responsabile ridona vita a questo tempo, dipingendolo di colori nuovi, nonostante la fatica. Ne cogli il senso, lo vivi. Non è inutile, non è sprecato.

Tutti portiamo dentro l’inquietudine di sentirci persi in questo deserto e ognuno di noi si porta dentro il desiderio di sentirsi cercato, voluto, amato. E il tempo delle attese, si fa tempo dell’essere atteso. È Lui che veramente ci attende, perciò possiamo attendere anche noi. Ecco l’Avvento: tempo di attesa, tempo dell’Atteso. Oggi siete voi ad indicarmi il senso di questo Avvento. Voi, con la vostra povertà, che fa da specchio alla mia, che incarnate l’evidenza che tutti noi viviamo solo perché custoditi da altri, che esistiamo solo perché accolti da Qualcuno. È sempre Avvento perché è sempre il tempo di aprire gli occhi ed il cuore per accorgersi dell’altro accanto a noi, tendergli la mano e prendercene cura.

La salvezza ci viene incontro, ma spetta a noi aiutarla a prendere forma e visibilità, accompagnarla con i nostri sogni e le nostre attese.” E allora, distanti ma vicini, fissiamo fin da ora lo sguardo su quella stella per scorgere Gesù povero che viene, nei paesi senza luci e senza rumori, a celebrare ancora la vita. Viene per te. Viene per me. Viene per chi abita le gelide ambulanze in queste ore, per chi è ricoverato in ospedale con il cuore in gola e la paura di non farcela. Viene per chi è a casa e aspetta il ritorno dei propri cari. Gesù viene. Viene nelle mani che sanno custodire e prendersi cura. Viene negli occhi che infondono speranza. Viene nei sorrisi che, anche da dietro una mascherina, riescono a donare forza. Viene a condividere la tua sofferenza, ad affrontare con te le paure che ti abitano, ad attraversare con te le ferite che ti porti dentro. Viene ad illuminare la notte del cuore. Viene in quella voce che continua a cercarti, nello stupore dei gesti inattesi, nel calore dell’amore che non viene mai meno.

E sentirai nella tua vita una carezza e il calore delle mani di Dio, vasaio che ancora spera in te sua argilla, che ancora ti dà forma adesso, con speranza tante volte tradita, con speranza ogni volta rinata. E sarà la fine dell’inverno. L’inverno delle nostre chiusure, delle nostre presunzioni, dei nostri vuoti di tenerezza, delle nostre mancate attese, dei giudizi spietati. L’inverno dei gesti senz’anima e delle parole senza cuore. Viene. Nonostante tutto, Gesù viene! Viene. E sarà la fine del gelo. E sarà il germoglio di un giorno nuovo.

Apri la finestra. Mi riprometto anch’io di aprirla ogni giorno.

E oggi la apro. La apro per me, per te.

E non mi spaventa questo freddo. Ma sento il sole!

Ed è un inizio! E attendo. E credo. E spero. E ricomincio. Ancora!

† don Mimmo, vostro vescovo