Cari fratelli e amici sacerdoti, carissimi tutti!
Sono profondamente grato al Signore per questo momento di grazia che ci chiama a vivere insieme. Oggi, cari sacerdoti, con la preghiera della nostra gente che ci accompagna e ci sostiene, ciascuno di noi fa memoria del dono dell’ordinazione sacerdotale.
Non solo la trepidazione di quel momento ma volti che tornano alla mente, volti di fratelli che hanno accompagnato la nostra vocazione, volti incontrati nel tempo, nell’esercizio del nostro ministero, storie, segni di una comunione che continua a esserci affidata. Non solo sappiamo ma possiamo anche sentire la gratitudine di quanti stasera sono qui riuniti per celebrare insieme l’eucarestia, per manifestare il loro affetto al Signore e a noi: è un grazie che sale a Dio con la loro presenza e con la loro vita. E di questo dobbiamo essere riconoscenti al Signore della vita e della comunione! La nostra vocazione, cari fratelli sacerdoti, è radicata nel cuore del popolo e nel cuore di Dio. Il dono di questa comunione scende ancora oggi come benedizione, olio profumato che copre il capo, il volto, anche l’orlo delle vesti, vita che scende come rugiada sui monti (cf. Sal 132).
La grazia di riconoscere la chiamata del Signore è sempre storia di un esodo, esodo di popolo e esodo di Dio! Questa grazia chiediamo al Signore oggi, perché si rinnovi nelle nostre promesse, nel nostro sì, nella nostra vita affidata a Lui e ai fratelli, ma chiediamo che si rinnovi anche nel suo popolo, in quanto popolo di consacrati, per portare l’annuncio del Vangelo della vita a tutti. Dio si è fatto prossimo a noi come si è fatto prossimo ai suoi primi discepoli. Si è fatto vicino a persone, uomini semplici, fragili, peccatori. La sua offerta di comunione continua a cambiare la storia gettando semi di speranza, a orientarla verso un futuro possibile solo insieme, esodo di liberazione!
Le nostre fragilità spesso ci fanno sentire incapaci, lontani da Dio, inadeguati alla missione che Lui stesso ci affida. Ma oggi il Signore ci mette nel cuore della sua missione, ravviva in noi il dono della sua chiamata: ho ascoltato il mio popolo, sono sceso, sono uscito, sono venuto a portare il lieto annuncio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, a dare la vista ai ciechi, sono venuto per consolare gli afflitti!
È questo l’olio dell’incarnazione di Dio, la letizia che ci affida, la gioia che converte il nostro cuore alla prossimità gratuita verso i fratelli, i vicini, i lontani, gli ultimi. È questa Parola che risuona stasera nella nostra chiesa, nei nostri cuori, nelle nostre speranze, nei nostri desideri, anche nei nostri fallimenti e ripiegamenti su noi stessi. Il Signore ci chiama a camminare con Lui e con la nostra gente, a diventare vento di speranza per la vita di tanti!
Cari sacerdoti, la nostra bocca, purificata dal tizzone ardente della comunione con Dio e con i fratelli, racconta lo stupore, la meraviglia, per la stima che Dio ha verso ciascuno di noi, verso il suo popolo chiamato a uscire lungo i sentieri di questa storia, popolo inviato ad annunciare la gioia della presenza di Dio operante e salvante: “Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti” (Is 61,6). Siamo mandati ad annunciare Colui che chiama dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita, dall’aridità del cuore alla parola nuova, redenta, dall’esperienza di inutilità e fallimento a essere sale e luce per il mondo, servi, compagni suoi, suoi collaboratori a tempo pieno, senza calcoli, senza scadenze e senza riserve.
Con tutti siamo chiamati a essere presenza radicata nel flusso della comunione, nel vento dello Spirito che stasera rialza e manda anche noi. Popolo sacerdotale e profetico. Noi, umanità benedetta! Umanità visitata dalla tenerezza di un Dio che vede le incertezze, le cadute, dei suoi figli, e vede anche la sete di perdono, la sete di un oltre, fonte di sana inquietudine e attesa. Le nostre vite sono tutte avvolte e coinvolte da un profondo intreccio che stasera la Parola ci affida come luce, seme di speranza che vuole fecondare questa nostra terra, alito di Dio che rigenera e spalanca le porte e le finestre del cuore, libera dalla paura, incoraggia, dà forza di andare e anche di restare come tralci innestati alla vite.
Sperimentiamo oggi il volto e il cuore di una Chiesa madre, che guarda con amore i passi dei suoi figli, “comprende, accompagna, accarezza”. Ci siamo incamminati sulle strade di questo rinnovamento e ci sentiamo davvero in comunione con tutta la Chiesa, ci sentiamo in comunione con i discepoli di ogni tempo e di ogni luogo, che condividono le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce di tutte le donne e di tutti gli uomini, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono (cf GS, 1). Questo fiorire di figliolanza è il cuore della benedizione. È la Chiesa senza confini, dalle porte aperte, fatta povera dal suo Signore, fedele al Vangelo, la Chiesa che riscopre l’abbraccio benedicente del Padre e che è capace di comunicare questa tenerezza.
Le complessità e le sfide del nostro tempo non devono scoraggiarci. Non devono scoraggiarci nemmeno i nostri ritardi, i fallimenti, l’incapacità di stare al passo con il palpitare di cuori che sognano piazze ripopolate di giovani, strade abitate dalla quotidianità condivisa, chiese aperte a tutti, soprattutto a coloro che si sentono lontani, coloro che hanno maggiormente bisogno del calore dell’ascolto e della benedizione.
Miei cari fratelli sacerdoti, siate capaci di scrutare insieme i segni dei tempi. Accogliete ogni speranza di mediazione. Non disdegnate gli attimi, i momenti che possono diventare incontro con le persone, scambio di fragilità e misericordia. Siate mediatori in Gesù, colui che si accorge della fame vera della folla, del profondo bisogno della sua Parola che rialza. Abbiate sempre dell’olio di riserva nelle vostre lampade perché la luce e la pace non tardino a venire per nessuno, perché la vostra preghiera che prima di tutto è cura del rapporto con il Signore, possa accogliere veramente tutti, in particolare coloro che sono soli e oppressi.
Tutto di voi, il vostro servizio, le vostre giornate, anche le vostre notti qualche volta insonni, siano abitate dalla cura dell’altro. Sappiate sperimentare con umiltà che siete chiamati a dare gratuitamente ciò che gratuitamente ricevete: state in mezzo alla gente, siate operai del tempo presente! Lasciatevi scavare l’anima dalle lacrime, dalle speranze della gente. Lasciate che la benedizione di Dio scenda attraverso voi sui passi dei suoi figli, immergetevi nella gioia dell’incontro con Gesù che fa rinascere la speranza proprio sotto la croce. Fermatevi, state, contemplate, non lasciatevi distrarre da niente, abbiate gli occhi fissi sul volto di quanti cercano il Signore. Lasciatevi meravigliare dall’opera multiforme di Dio, dalla sua voce, da quel vento leggero che parla nei luoghi meno scontati della storia.
La ricerca di giustizia di tanti che si chinano a servire i più deboli e gli esclusi, con un amore simile a quello del Signore, la ricerca di verità e autenticità di quanti mettono a disposizione le loro competenze nel volontariato, la ricerca del bene comune in coloro che lavorano nelle istituzioni e lottano contro ogni forma di ambiguità e di sopraffazione da parte dei potenti di turno, fanno luce sulle periferie esistenziali di tutto l’uomo e di tutti gli uomini, e sono ragione della nostra speranza, della nostra forza. Veramente il Signore continua a benedire il suo popolo, i suoi consacrati, continua a operare la salvezza nell’onestà e nell’impegno di tanti che nemmeno vivono con forza la loro fede, perché la sentono fragile e oscura, e non sanno di condividere la missione stessa del Signore, la sua passione più profonda: l’uomo!
Sono questi i segni che fanno risplendere sulla croce gloriosa il volto umano di Dio, nel volto ferito di Cristo la bellezza del Padre, la luce della speranza senza tramonto. Questo amore redento diventa riconoscibile da parte di tutti, senso e compimento della storia dalla parte dei più deboli, degli ultimi; Parola, al mondo e alla storia, di un Dio veramente risorto negli occhi di coloro che attendono il lieto annuncio della pace, della vita, della giustizia. I profeti di speranza leggono la storia e vi riconoscono i segni di salvezza. “Coloro che li vedranno ne avranno stima, perché essi sono la stirpe che il Signore ha benedetto”! (Is 61,9b).
Gli oli che saranno benedetti in questa eucaristia, olio dei catecumeni, degli infermi e del sacro crisma, sono gli oli di una Chiesa che desidera uscire per le strade del tempo presente, una Chiesa che celebra la vita degli uomini e delle donne, che desidera ardentemente proclamare un anno di grazia del Signore. Frutto del lavoro degli uomini, di mani che raccolgono, mondano, torchiano, consacrate a portare frutto per la vita del mondo, gli oli diventano impronta di salvezza nella storia, segni dello Spirito, provocazione continua nella nostra sequela. Dio continua a visitare l’umano e a benedirlo!
Ce ne affida la cura, cura che prende forza dal condividere la vita con la nostra gente, dal sostenere la loro fede e la loro speranza. Affidati a voi sacerdoti, per la costruzione del popolo di Dio, gli oli sono espressione della cura della vita della comunità ecclesiale, perché la comunità riscopra al suo interno la centralità del Vangelo, cuore della sinodalità e cuore della missione, perché riscopra il suo essere fermento nella Chiesa e nel mondo. Le vostre mani possano sperimentarne la potenza di Dio che si manifesta nella debolezza, nei bisogni della gente che a voi si affida. Le vostre mani vuote si aprano a benedire le persone e le vostre stesse radici, l’appartenenza a questo popolo che siete chiamati ad amare senza riserve. Da queste radici ci nutre lo Spirito. Le speranze di questa terra diventino offerta sull’altare di un’esistenza veramente solidale, che riceve forza dallo Spirito, capace di dare volto concreto alla carità.
Sono gli oli della comunità orante, in ascolto dello Spirito, in ascolto della Parola, in ascolto dell’altro, in ascolto delle gioie e dei dolori della gente, in ascolto della fraternità ferita, in ascolto delle fragilità;
Sono gli oli della comunità in piedi, che annuncia con la vita la centralità del Vangelo, il desiderio di una formazione che guardi prima di tutto alla coscienza del dono, all’assunzione personale e possibile, per giungere al cuore dei processi pastorali e dei progetti, una formazione che diventa servizio all’umano nella fede, in ascolto delle istanze di giustizia che vengono dalla complessità della vita sociale, politica, economica, del nostro territorio. «Come pastori, uniti al nostro popolo, ci fa bene domandarci come stiamo stimolando e promuovendo la carità e la fraternità, il desiderio del bene, della verità, della giustizia. Come facciamo a far sì che la corruzione non si annidi nei nostri cuori» (Papa Francesco, I laici protagonisti della chiesa e del mondo).
Sono gli oli della comunità in cammino, che trova il suo senso e il suo compimento nella prossimità prima di tutto a coloro che fanno più fatica: alla sequela di Cristo, sul passo degli ultimi.
Ogni anno ci sorprende lo stare di Gesù in mezzo alla sua gente, nella sinagoga, nella sua terra, con gli occhi di tutti sempre fissi su di Lui. Questo Dio non sceglie i potenti, non sceglie di cominciare dalle grandi città, non sceglie i dotti e nemmeno coloro che si sentono sicuri di sé e capaci. Ecco allora che i nostri occhi e quelli della nostra gente sono fissi su di Lui, in attesa di poter rinascere e rialzarci in forza delle sue parole, dei suoi silenzi, dei suoi gesti. Dio comincia da noi per amare l’intera umanità! Il tempo nuovo della gioia si apre davanti a noi, per dono e iniziativa sua, per la sua fedeltà, la sua misericordia che penetra in profondità i nostri dubbi e le nostre contraddizioni. Siamo in un attimo liberati e alleggeriti da tutte le nostre corazze e autodifese, dalle nostre finte ricchezze, dalle inutili sublimazioni che ingannano il cuore.
Avvertiamo in noi il privilegio della predilezione. È il privilegio dei poveri, di coloro che ora sanno di avere bisogno solo di guardare verso il Signore e di fermare lo sguardo su di Lui. Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli! Non è il privilegio dei primi posti nelle sinagoghe, degli spazi di rilievo nelle piazze, del riconoscimento di ruoli e funzioni. È il privilegio dei discepoli che incontrano lo sguardo di Gesù che si volge a loro e dice: “Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Vi dico che molti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, ma non lo videro, e udire ciò che voi udite, ma non l’udirono” (Lc 10,22-24). Impariamo da Gesù, impariamo dagli ultimi della terra e della storia a diventare annunciatori di speranza, di un Dio che ancora scende, libera, benedice. Sono questi gli occhi della Chiesa sinodale! Gli occhi fissi su Gesù, unico Signore, pietra angolare, unico sacerdote che conosce le miserie dell’uomo. Sono occhi di poveri capaci di profezia! Non temere piccolo gregge! Il Signore chiama a seguirlo insieme e lo rende possibile!
Una parola quasi taglia il silenzio fitto della sinagoga: oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi! Cari sacerdoti, lo dico in particolare a voi, non disprezzate mai la vostra storia! Il tesoro della nostra chiamata è custodito in vasi fragili, nella creta della nostra debolezza, nella creta delle nostre storie. Lasciate operare il Signore, affidatevi alla sua misericordia, alla rivoluzione della sua tenerezza, accogliete le vostre fragilità e imparate a benedirle perché possiate vedere dove abita il Signore e fermarvi con lui. Il Signore rovescia sempre le nostre logiche, inverte le cose: è sempre il pastore che lascia le novantanove pecore del recinto sicuro e si muove a cercare la pecora perduta in sé stessa, nei suoi timori, nelle sue perplessità, nei suoi errori, nella sua goffa ricerca della strada sicura!
La nostra storia personale è la strada sulla quale il Signore ci ha incontrati, ci ha amati e chiamati, prima di ogni nostro deludente giudizio su noi stessi, prima del nostro renderci conto delle nostre spigolosità, delle nostre pigrizie, delle nostre ambiguità e incapacità di relazioni vere, dei nostri inespressi desideri di grandezza e di riconoscimento. Non sono i nostri limiti che ci giustificano davanti a Lui, ci giustifica solo il suo amore che ci chiede di stare in piedi, ascoltarlo, lasciarci coinvolgere ogni giorno nella cura di coloro che Lui stesso ci affida. Il Signore permette che la comunione tra noi diventi fragile, cada a terra in mille pezzi, ma non ci lascia nella nostra desolazione, nel nostro smarrimento! Come a Pietro, stasera dice anche a noi: tu una volta convertito, una volta ritrovato, conferma i tuoi fratelli!
Carissimi fratelli miei, custodite il dono che siete! Custodite il tesoro della vostra chiamata! Non lasciate che si indebolisca. Scavate nella vostra storia e vi troverete quel tesoro nascosto nel campo, per cui un uomo, addirittura Dio, ha venduto tutto per acquistarlo. Vi troverete quella comunione vera, cristallina, capace di attirare altri a sé, che vive già nel vostro cuore! Quella comunione capace di riconoscere le povertà dell’altro più inespresse, capace di ascoltare i suoi silenzi, capace di compassione, di prossimità vera. Capace di stima dell’altro, capace di costruire relazioni autentiche tra voi confratelli, capace anche di rimettere insieme i pezzi. Vi troverete il principio e fondamento della vostra vita e della vostra chiamata. È da questa comunione che il Signore vuole cominciare a ricostruire le rovine delle antiche città, è da questa comunione che vuole cominciare a risanare lutti, a guarire i malati, a sanare chi ha il cuore affranto, la coscienza chiusa in sé stessa. È la vostra vulnerabilità che si fa luce! Vi supplico, lasciatevi riconciliare con il Dio della vita, della vostra vita, lasciatevi riconciliare con i vostri fratelli! Ravvivate il dono di Dio che è in voi per l’imposizione delle mie mani! (cf 2Tm 1,6). Perdetevi nel suo abbraccio, lasciate che il vino nuovo riempia otri nuovi! Lasciate che i vecchi vasi di creta si spacchino perché la potenza di Dio possa manifestarsi nella vostra debolezza e possa rivelarvi la gratuità dell’unzione che le persone attendono! Lasciate che si spacchino per il bisogno della gente, per le loro povertà, per l’ascolto che vi chiedono! Questa è l’opera di Dio! Tutta la nostra storia diventi creta benedetta da Dio, capace di lasciare spazio alla creatività dello Spirito, al coraggio dell’annuncio, alla forza di uscire da noi stessi, dai nostri risentimenti e fallimenti, dalle nostre sacrestie, per scorgere insieme vie di comunione, sentieri di fraternità, crocicchi di speranza sulle strade del nostro tempo.
Cari sacerdoti, la comunione sacerdotale che ci è donata chiede di farcene responsabili. La condivisione delle fatiche e delle gioie del vostro ministero può diventare dono, unzione feconda per voi e per tutti. Penso in particolare ai più giovani che possono leggere nella vostra vita reciprocamente affidata, nella vostra testimonianza, la bellezza oggi di essere preti secondo il cuore di Dio.
Penso in particolare ai laici, i nostri cari fratelli laici, dono incommensurabile per noi, soprattutto quando nella schiettezza, nell’affetto e nella sincerità, diventano la pietra di inciampo, la pietra scartata, nel nostro ministero. Amiamoli. Valorizzate le loro competenze, permettete che siano a servizio della Chiesa, che siano benedizione di Dio in questo mondo. «I laici sono i protagonisti della Chiesa e del mondo; noi siamo chiamati a servirli, non a servirci di loro» (Papa Francesco).
È soprattutto da loro che possono partire i processi di rinnovamento che tanto auspichiamo. I laici non sono quella piccola élite che lavora nelle cose dei preti ma sono discepoli, che camminano sulle strade del mondo. Con loro condividiamo la bellezza e le fatiche della missione che ci è affidata, con loro condividiamo il cuore della missione.
Cari fratelli e sorelle, aiutate la Chiesa, la nostra Chiesa a spalancare le sue porte. Questa condivisione della vita, della passione per il popolo santo di Dio, diventa inevitabilmente guarigione della fraternità ferita, diventa lavoro di reciproca valorizzazione, riconoscimento di potenzialità e competenze, condivisione dei carismi, promozione della reciprocità delle vocazioni urgente e possibile nella nostra Chiesa. Soprattutto, diventa capacità di incanalare le energie, di imparare a respirare insieme, in un clima di ritrovata gioia. Condividiamo questo grande tesoro della comunione, non facciamone possesso, preda, bottino. Sia questo anche un invito a scegliere ancora e di più la povertà come criterio, esigenza, stile di vita dei credenti.
“Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione”. Con queste parole riprese da Gesù nella sinagoga, auguro a voi fratelli sacerdoti, che lo Spirito resti su di voi, nel cuore della vostra gente. Che resti sempre viva in noi l’intenzionalità di comunione che in Gesù si è fatta riconoscibile. Diventi in noi invito attraente per tutti!
Vi auguro di scoprire sempre di più l’essenzialità e la ricchezza di essere costituiti compagni del Signore, per la vita del mondo. Lasciate che la vostra cura fiduciosa, le vostre attese e le vostre inquietudini per questa Chiesa in cammino, per la terra a noi affidata, diventino pane spezzato con Gesù e con i fratelli! Auguri a voi e a tutti, carissimi, vi abbraccio e vi benedico… Benedite anche me!
Un resto di speranza
Un resto sempre farai che viva,
tu sei un Dio che ama la vita:
come tu ami non c’è uno che ama,
che abbia una simile cura dell’uomo.
Così hai fatto, Signore, a Israele,
così farai del nuovo Israele,
così del genere umano farai:
no, non saremo perduti per sempre.
E un resto sempre sarà che ti lodi
nei verdi pascoli tuoi al riparo:
di umili e poveri un popolo scelto
a fare il bene, a salvar la città.
(D.M. Turoldo)
† don Mimmo, Vescovo