“IL CANTO DI UN ANGELO” – lettera del vescovo Mimmo per la IV Domenica di Avvento, 18 dicembre 2016

15541190 10211928397713366 6823468873675874464 n
18-12-2016

Caro don Filippo,

per questa ultima settimana di Avvento ho scelto di scrivere a te e di raccontarti un mio sogno nel cassetto… In realtà è un desiderio grande, irrealizzabile forse: vorrei fare un dono in questo Natale, a te, a tutti i nostri confratelli e alle persone che incontro, a chi ogni giorno incrocia la mia strada: nessun oggetto di lusso, nessun simpatico gadget, vorrei donarvi un miracolo. E nemmeno uno nuovo. Uno copiato da una notte di duemila anni fa, al primo scomodo, magico Natale: vorrei donarvi il canto di un angelo!

Si lo so, è un’idea stramba, da poeta sognatore, poco pratica forse. Ma quando mi guardo dentro, quando cerco a fondo nei vostri occhi, sento che questo è il solo dono che vorremmo, quello di cui abbiamo davvero bisogno, da sempre, da molto prima che qualcuno ci insegnasse cosa desiderare, cosa chiedere, cosa aspettarci.

Vorrei un angelo che segua ognuno di voi in ogni istante, una presenza fedele e attenta, una carezza di eterno nel dolore delle vostre stanze, nella solitudine delle vostre notti, nel rumore delle vostre vite, dei vostri uffici, delle vostre aule, delle vostre macchine. Vi donerei la voce dell’anima, canto e silenzio: che magnifico dono sarebbe! L’abbraccio di un angelo per ognuno di voi, unico, prezioso, infinito…

La spinta saggia, incosciente e salvifica di un angelo per te, Lorenzo, che guardi i tuoi sogni più grandi dalla finestra della tua vita senza trovare la forza di scendere in strada a seguirli, senza riuscire a chiamarli per nome.
Donerei la forza di ali sicure a te, Marco, che stai spiccando il volo verso un domani incerto e gravido di attese, a te che la paura ti divora dentro e guardi la sicurezza che hai mollato e le nebbie che ti separano dalla tua meta.
Gli occhi di un angelo li donerei a te, Anna, che la vita l’hai sfidata mille volte ed hai sempre perso, fino ad oggi. Gli occhi di un angelo per specchiartici e guardare in faccia l’infinito che hai dentro, oltre gli errori, oltre il dolore.
La voce dell’angelo che canta il canto di Dio: pace in terra agli uomini. Che grande musica questo canto! Il mio presepe ancora da finire mi dà la dimensione, il palcoscenico reale di questo canto, c’è ancora solo la struttura: legno, muschio, pietre e sughero, materiali poveri a disegnare lo scenario di un nulla, di un posto qualunque della terra, dello squallore e della povertà del normale, del quotidiano. È lì che metterò a cantare i miei angeli di plastica: nel niente di un luogo qualsiasi, nella banalità delle vite normali; avrei potuto scegliere un altro posto a caso, una casa, una delle strade che ogni giorno vi portano a vivere la stessa giornata, un campo, un pub, uno dei paesi della nostra Diocesi: un posto come un altro! Il Dio bambino, quella notte, ha scelto un posto di pastori: greggi, pascoli, terra brulla. Ha scelto lo scenario di giornate infinite a guardare pecore brucare, di solitudini, di maledizioni tra i denti per la propria sorte, sotto il sole cattivo dell’estate orientale, tra i venti ghiacciati dell’inverno: ha scelto un posto degli uomini. Il Dio bambino ha scelto gli uomini, ha scelto la normalità.
E nella maestosa brutalità del nulla, nel silenzio arido della stanchezza umana, ha fatto cantare i suoi angeli, ha fatto cantare la Pace: il suono degli occhi che si incontrano e si parlano, il silenzio del cuore, il sospiro che divide le parole di chi si ama, la ninna nanna di un bambino che si addormenta sicuro, al calore di coperte ancora rimboccate, ripetendo un’altra sera parole che sanno di verità e di casa, che danno sicurezza: “angelo di Dio, che sei il mio custode”, ché il male non esiste e il cuore è al caldo e domani saranno ancora giochi, abbracci, sorrisi…
Vorrei donare il canto della pace nei cuori, a te, Caterina, che fai i conti in tasca ed i tuoi conti finiscono troppo presto e la sicurezza del domani non la ricordi più; a te, Patrizia, che il vuoto ti assedia e non sai come fare per sfuggirgli, alle tue notti insonni; a te, Antonio, che i tuoi figli non li ritrovi più, non li riconosci, ti fanno paura; a te che i tuoi, di figli, sono andati via prima di te, in una guerra per i soldi, sulla strada per una partita, negli incidenti di questa terra, nelle sale operatorie di ospedali dimenticati dalla dignità umana, che pensi sempre che la vita dell’uomo ha smarrito ogni senso, ogni valore.
A te che non ti dai pace, pace in terra agli uomini, per mettere a dormire la tua rabbia, il tuo disgusto, la tua disillusione, per curare la speranza sofferente…

E penso poi: quanto era concreto il canto di quella notte, quanto era reale! Pace “in terra”. Come dire: pace sporca di terra, contaminata dalla verità, dal tempo, pace non solo interiore. E allora vorrei donare a tutti voi proprio questo canto di pace e di terra.
Pace e pane a tutti voi che domani è un giorno troppo lontano da programmare, che la fame non dà scampo e gli occhi del mondo sono chiusi. Pace e lavoro a te, Giuseppe, che a quarant’anni chi ti assume più? Troppo vecchio per iniziare, troppo giovane per riposare. Pace e scuola per voi, ragazzi delle periferie della mia Diocesi, che ancora oggi siete ai margini del benessere, gravati dal peso della vostra condizione familiare, che quelli dei paesi belli saranno più colti, più ricchi, più raccomandati di voi, in questa finta democrazia di caste. Pace e giustizia per te, Maria Grazia, che combatti dai tempi della scuola: le piazze, la politica, la cultura, il volontariato, che ancora ci credi nonostante tutto, per te che non molli, “giustizia e pace si baceranno”. Pace concreta per ciascuno di voi: pace in terra “agli uomini”, pace per gli uomini, per mezzo degli uomini, per il fine degli uomini. Con l’impegno ed il sudore degli uomini!
Donare angeli può sembrare follia! Ma credo che non sia poi tanto assurdo, non sia così irreale, perché ce l’abbiamo già. Perché li vedo sempre, tutte le volte che il dolore rende gli occhi limpidi, gli angeli già presenti nella mia, nella vostra storia. Angeli imperfetti e senza ali ma vivi, fedeli e silenziosi, con lo stesso amore nello sguardo e lo stesso calore nelle mani. Angeli in carne ed ossa che si mettono accanto, che fanno la nostra strada, che camminano la nostra vita. Angeli in silenzio, in lunghe sere d’estate ad ascoltare lo stesso cuore. Angeli fratelli che ti parlano con gli occhi, e che con quegli occhi dicono forte: io ci sono, sempre. Angeli che si svelano nel calore di un abbraccio in un giorno che la forza non la trovi più. Angeli lavoratori, seduti al posto accanto al tuo, attenti, pazienti, complici. Angeli fragili, con le stesse paure, con un altro dolore, che si addormentano sulla tua spalla in una strada d’inverno, ché la pace nell’anima arriva anche così. Angeli a parlare e piangere e regalarsi sogni e desideri di eterno, che ospitano, ascoltano. Angeli che pensavi lontani ed invece sono lì, ti chiamano, ti sostengono. Angeli sconosciuti: bambini per strada, stranieri soli, vecchi stanchi che ti sorridono senza un perché, come in quel vecchio film in bianco e nero, angeli che ascoltano i tuoi pensieri e, nonostante questi, sorridono.
Angeli sotto il nostro cielo, sulla nostra terra, come nella notte di Betlemme, angeli che cantano alla vita, annunciano una nascita, svegliano il mondo per dire che Dio ha due occhi da neonato, una bocca per piangere e sorridere, che Dio ha mani, corpo, odore. Che Dio è uomo, che l’infinito ha scelto la piccolezza, che lo squallore di un posto qualunque può rivestirsi d’incanto. Cantano e richiamano poveri e sapienti, si accendono luci e fuochi, e musiche degli uomini e tutto rinasce: cantano gli angeli, cantano che tutto il nostro nulla può diventare un inno alla vita, un canto di pace.

Cerreto Sannita, 15 dicembre 2016

+ don Mimmo, tuo vescovo