Festa Patronale in onore di San Nicola – Dugenta

05-09-2021

Care sorelle e fratelli, caro don Giuseppe, sono veramente contento di poter celebrare insieme a voi la festa di San Nicola, la festa del vostro patrono. Una festa che l’affetto per i tanti che lavorano all’estero e che sono in paese in questo periodo, si è anticipata ad oggi, prima domenica di settembre; anticipata perché tutti potessero partecipare e vivere la loro devozione al Santo. Siamo gli amici, siamo il popolo di San Nicola. Nicola nacque tra il 260 e il 280 d.C. a Patara, Turchia, da una ricca famiglia. I suoi genitori morirono di peste e ereditò i loro beni, che utilizzò per aiutare i poveri. Trasferitosi a Myra, venne ordinato sacerdote e, poi, eletto vescovo. Morì il 6 dicembre del 343.

Si racconta di San Nicola che, venuto a sapere che un padre, non avendo la dote per far sposare le tre figlie, aveva deciso di avviarle alla prostituzione, di nascosto, di notte portò una dote alle tre fanciulle povere perché potessero andare spose e – in un’altra occasione – salvò tre fanciulli che non avevano da mangiare, donando loro delle mele. Il mattino dopo quelle tre mele si trasformarono in preziosi frutti d’oro.

È diventato nella tradizione il Santo dei doni che arrivano a sorpresa e che fanno felice qualcuno.

Nel tempo è diventato l’ispiratore di Babbo Natale

San Nicola possiamo dire è il santo dei doni, dei gesti di affetto verso le persone care, è il santo dell’amicizia e dei legami. E questo suo donare ci rappresenta  il desiderio di Maria e Gesù di riempirci dei loro doni. Maria ci dona Gesù. Gesù ci dona lo Spirito Santo, Gesù ci dona speranza e coraggio. Dove c’è Gesù si riaccende speranza, dove c’è Gesù la vita cambia; dove il vangelo viene vissuto, si sconfigge il male e vince l’amore.

Oggi con san Nicola, il Signore ci conferma nel legame di amore con Lui, un legame di amore, che ci fa sentire vicini anche quando siamo lontani. Il legame di amore Dio non lo interrompe mai. Qualcuno si è chiesto. Ma dove è stato Gesù, visto che abbiamo avuto tanti problemi e tanti hanno sofferto e soffrono con questa pandemia? Dove è Dio si chiede qualcuno di fronte alle immagini dell’Afghanistan? Qualcuno ha pensato che Dio sia lontano, dimentico di noi. Ma Gesù non è lontano, non lo è mai stato, ha sofferto e soffre insieme a noi. Desideroso come San Nicola, con San Nicola, di darci i suoi doni. Per capirlo abbiamo bisogno di aprire il cuore alla sua parola.

Gesù, ci ha detto il vangelo, entra in un territorio abitato da greci, e quindi dai pagani. Gesù va a cercare tutti per donare il suo amore e la sua compassione. Il territorio della Decapoli era una terra che non era stimata, che non era reputata degna, di cui Israele non ne voleva proprio sapere, ma qui gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Gesù incontra una persona considerata pagana e per di più malata, quindi per la mentalità dell’epoca, colpevole e impura, scartata e disprezzata. Eppure Gesù non mette paletti, non fa discorsi se appartiene a noi, se è dei nostri oppure no. Per Gesù conta solo che è una persona che ha bisogno di aiuto. L’apostolo Giacomo ci ammonisce a non trattare bene i ricchi e male i poveri, ma ad avere per tutti le stesse attenzioni. Quell’uomo è malato anche se in un certo senso è fortunato: ha degli amici, una piccola comunità di gente che gli vuol bene e lo porta davanti a Gesù. La malattia infatti non è una condanna, la solitudine sì. Sappiamo come sia importante questo discorso della vicinanza a chi è malato. La pandemia ce lo ha fatto capire molto bene.

Gesù lo prese in disparte, lontano dalla folla, si prende cura, e mostra a quella persona che la sua vita è preziosa.

“Gli pose le dita negli orecchi.” È proprio lì la malattia e Gesù tocca la parte malata, se ne fa carico, accoglie di lui anche quella parte con la quale nessuno voleva avere a che fare. “Con la saliva gli toccò la lingua.” (la saliva ha un effetto antibatterico, come qualcosa che purifica). Gesù dona qualcosa di sé, la sua salute, la sua vita, il suo voler bene.

“Guardando quindi verso il cielo emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!».” Alzare gli occhi al cielo ci ricorda il valore e la forza della preghiera. Gesù non ha mai contato solo su se stesso, sulle sue capacità, ma in tutto chiedeva aiuto al Signore da cui viene la forza della vita.

Effatà, e quell’uomo cominciò a parlare correttamente dopo che gli si aprirono gli orecchi, e questo è molto importante, perché sa parlare solo chi sa ascoltare. Senza ascolto , non c’è parola di vita. . Spesso noi non diamo valore al peso che hanno le nostre parole. Spesso sprechiamo le nostre parole o, peggio, le usiamo male. L’apostolo Giacomo ci ricorda: “Dalla stessa bocca escono benedizione e maledizione. Non dev’essere così, fratelli miei!” (3,9-10).

Effatà ci viene detto ogni giorno dalla Parola di Dio. Quando ci viene la tentazione di ripiegarci sulle nostre cose, di chiuderci agli altri, quando non ne vogliamo più sapere, quando tutto sembra essere inutile o contro di noi, il vangelo ci dice: Effatà, apriti! Esci dalla tua solitudine, dove ti pare di essere al sicuro, apriti alla vita, all’amicizia, alla fraternità, ai poveri, all’amore. Quel sordomuto ci assomiglia quando sentiamo ma non ascoltiamo, quando non prestiamo attenzione. Quante volte siamo sordi, ascoltiamo distrattamente. Quante volte si ascolta solo chi interessa, chi conviene, chi ci appartiene. Il mondo è sordo alle parole dei poveri; il mondo è sordo alle storie dei migranti; il mondo è sordo alle domande di pace. Per questo non sa avere parole umane, di pace. Per questo usa un parlare scorretto, talora persino violento e cattivo. «Il primo servizio che dobbiamo rendere ai fratelli è quello dell’ascolto. Chi non sa ascoltare il proprio fratello presto non saprà neppure ascoltare Dio» (Bonhoffer), In quante famiglie si parla tra sordi. Quante solitudini sono frutto di un parlare tra sordi. Chi non sa ascoltare perderà la parola, e la parola si fa dura e vuota.

Ciò che abbiamo da dire dipende da ciò che siamo in grado di ascoltare. Maggiore è il nostro ascolto, più corretta sarà la nostra parola. E quando viviamo l’ascolto profondo della parola di Dio, riceviamo parole nuove da poter dire agli altri, parole che guariscono, fanno uscire dalla prigionia di se stessi, dalla emarginazione. Molti sono gli smarriti di cuore. Molti giovani sono smarriti di cuore. Lo smarrito di cuore è quello che ha visto venire meno le sue sicurezze, le sue attese, e non sa cosa fare della sua vita, che senso darle.

A tutti vanno ripetute le parole del profeta: Dite agli smarriti di cuore Coraggio, non temete. Tutto può cambiare. Gesù non cessa di dire a ogni uomo “Effatà”; e il cuore dello sfiduciato, dello stanco, si riprende aprendosi a Dio. Bisogna imparare da Gesù ad alzare gli occhi al cielo e soprattutto aprire il cuore all’ascolto della sua parola, da qui nasce e qui si radica la nostra fraternità

Gesù è colui che “Ha fatto bene ogni cosa”. Possa essere questo il nostro cammino, un cammino di ascolto e di impegno nel fare bene ogni cosa, con la certezza che le cose fatte bene, che fanno bene, sono quelle che si fanno insieme ai fratelli e per i fratelli.

Il mio augurio oggi, per la festa di San Nicola è questo: sentite che il Signore vi vuole bene, vi dona la vera forza, quella di sentirlo vicino alla vostra vita.

Ciò che è accaduto in Afghanistan in queste settimane ha sconvolto tante certezze. Ci ha fatto sentire impotenti. E invece il Signore viene in aiuto della nostra debolezza e ci dà le parole, innanzitutto nella preghiera, e dà parole al nostro desiderio di cambiare il mondo. Venerdì prossimo (10 settembre) faremo in Diocesi, in ogni parrocchia, la preghiera per la pace. Viviamo l’ascolto della Parola di Dio e saremo capaci di parlare agli smarriti di cuore per indicare il cammino della speranza e del coraggio.

+ Giuseppe, vescovo