Paolo Danei, che al momento della professione religiosa prese il nome “della Croce”, a sottolineare la sua radicale appartenenza a Cristo crocifisso. Nacque a Ovada (Alessandria) il 3 gennaio 1694 da una famiglia di commercianti. Il padre, Luca, e la madre, Anna Maria, ebbero complessivamente quindici figli, solo sei dei quali sopravvissero. Non aveva ancora vent’ anni quando ebbe una intensa e decisiva esperienza interiore di Dio come amore e misericordia. Questa esperienza segnò l’inizio di una profonda trasformazione interiore.
Maturò il desiderio di offrire la sua vita per la fede, e pensò di arruolarsi nell’ esercito che la Repubblica di Venezia, seguendo l’invito lanciato da Clemente XI nel 1715, stava raccogliendo per una guerra contro i turchi. Ma prima di partire comprese di non essere chiamato alla difesa armata della Chiesa. Tornato in famiglia, rinunciò a un’eredità offertagli da uno zio sacerdote e alla proposta di un conveniente matrimonio. Avvertì invece progressivamente la chiamata a fondare una congregazione centrata sulla memoria della Passione di Cristo, vista come “la più grande e stupenda opera del divino amore”. Paolo non concepiva la Passione “in negativo”, cioè unicamente come necessaria conseguenza e riparazione del peccato: gli era invece particolarmente chiaro il valore della Passione di Gesù, che il Fondatore descriveva come «la più grande e stupenda opera dell’amore di Dio», massima espressione dell’amore di Dio per l’uomo.
Nel 1727 fu ordinato sacerdote a Roma da papa Benedetto XIII, Il 15 maggio 1741 Benedetto XIV diede la prima approvazione alla Regola del nuovo istituto, e l’11 giugno Paolo con sei compagni emise la professione pubblica, assumendo il nome “della Croce” e cominciando a portare sul petto il segno distintivo della Passione, un cuore con il nome di Gesù sormontato da una croce.
Paolo della Croce morì a Roma il 18 ottobre 1775.
San Paolo della Croce, diede a sé stesso e ai suoi compagni questo motto: «Che la Passione di Gesù Cristo sia sempre nei nostri cuori». San Paolo della Croce voleva che le sue comunità fossero scuole di preghiera, dove poter fare esperienza di Dio. I padri passionisti dovevano essere per San Paolo ministri di guarigione spirituale e di riconciliazione, tanto necessarie nel mondo di oggi come di ieri, a dedicare tutto se stessi alla «evangelizzazione e ri-evangelizzazione dei popoli, preferendo i più poveri nei luoghi più abbandonati». Dovevano essere vicini alla gente, tradizionalmente attraverso le missioni popolari, dediti alla direzione spirituale e al sacramento della Penitenza. Voleva che i suoi sacerdoti parlassero con tenerezza, ascoltando senza condannare e accogliendo tutti con misericordia.
La Chiesa oggi con il Sinodo, sente forte l’appello ad uscire fuori da sé stessa e andare alle periferie, sia geografiche sia esistenziali, andare in nuovi territori per portarvi il Vangelo, ma anche affrontare le nuove sfide del nostro con la missione di essere presenti in quelle situazioni dove la gente percepisce l’assenza di Dio, e cercare di stare vicino a coloro che, in qualsiasi modo o forma, stanno soffrendo.
San Paolo della Croce fu molto creativo nel rispondere ai bisogni del suo tempo, riconoscendo – come dice nella Regola – che «l’amore di Dio è ingegnosissimo e non si mostra tanto con le parole, quanto con le opere e con gli esempi di chi ama» (XVI). In quest’epoca di cambiamenti, che è piuttosto un cambiamento di epoca, cari padri passionisti di Airola siete chiamati ad essere attenti alla presenza e all’ azione dello Spirito Santo, leggendo i segni dei tempi. Situazioni nuove richiedono risposte nuove per rispondere ai bisogni della gente di oggi, rimanendo vicini al Cristo sofferente in modo da portare la sua presenza ad un mondo che soffre.
Il carisma dei padri passionisti: l’amore di Dio rivelato sulla Croce, ha molto da dire all’ odierna società che ha imparato a non fidarsi più delle sole parole e a lasciarsi convincere solamente dai fatti. Per molti giovani che sono alla ricerca di Dio, la Passione di Gesù può essere fonte di speranza e di coraggio, mostrando loro che ognuno è amato personalmente e fino alla fine. La croce è la via del servizio all’amore; un amore che sa chinarsi sulla vita della gente per renderla migliore.
Giacomo e Giovanni sono animati da grande entusiasmo per Lui e per la causa del Regno, ma le loro aspettative e il loro zelo sono inquinati, dallo spirito del mondo. A loro che chiedono un posto alla destra ed alla sinistra risponde: «Voi non sapete quello che chiedete» (v. 38). E mentre loro parlavano di “troni di gloria” su cui sedere accanto al Cristo Re, Lui parla di un «calice» da bere, di un «battesimo» da ricevere, cioè della sua passione e morte, della sua croce. Giacomo e Giovanni, alle parole di Gesù dicono di slancio: sì, «possiamo»! Ma, anche qui, non si rendono veramente conto di quello che dicono. Gesù preannuncia che il suo calice lo berranno e il suo battesimo lo riceveranno, cioè che anch’essi, come gli altri Apostoli, parteciperanno alla sua croce, quando verrà la loro ora. Però – conclude Gesù – «sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato» (v. 40). Come dire: adesso seguitemi e imparate la via dell’amore “in perdita”. La via dell’amore è sempre “in perdita”, perché amare significa lasciare da parte l’egoismo, l’autoreferenzialità, per servire gli altri.
Gesù poi si accorge che gli altri dieci Apostoli si arrabbiano con Giacomo e Giovanni, dimostrando così di avere la stessa mentalità mondana. E questo gli offre lo spunto per una lezione che vale per i cristiani di tutti i tempi, anche per noi. Dice così: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti» (v. 42-44). È la regola del cristiano. Il messaggio del Maestro è chiaro: mentre i grandi della Terra si costruiscono “troni” per il proprio potere, Dio sceglie un trono scomodo, la croce, dal quale regnare dando la vita: «Il Figlio dell’uomo – dice Gesù – non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (v. 45).
La via del servizio è l’antidoto più efficace contro il morbo della ricerca dei primi posti; è la medicina per gli arrampicatori, questa ricerca dei primi posti, che contagia tanti contesti umani e non risparmia neanche i cristiani, il popolo di Dio, neanche la gerarchia ecclesiastica. Perciò, come discepoli di Cristo, accogliamo questo Vangelo come richiamo alla conversione, per testimoniare con coraggio e generosità una Chiesa che si china ai piedi degli ultimi, per servirli con amore e semplicità. La Vergine Maria, che aderì pienamente e umilmente alla volontà di Dio, ci aiuti a seguire con gioia Gesù sulla via del servizio, la via maestra che porta al Cielo.
“Per essere Santo ci vuole una “N” e una “T”. Chi cammina più di dentro indovina il significato, ma chi non è ancora entrato in vera profonda solitudine, non sa indovinarne il significato. Ed io soggiungo: la “N” sei tu che sei un orribile “nulla”; la “T” è Dio che è l’infinito “Tutto” per essenza. Lascia dunque sparire la “N” del tuo niente nell’infinito “Tutto” che è Dio ottimo massimo ed ivi perditi tutto nell’abisso dell’immensa Divinità. Oh che nobile lavoro è questo” (L III,447).
† Giuseppe, vescovo