Mia cara Lia, scusami se trovo l’espediente della lettera per rispondere alla domanda che mi hai fatto qualche giorno fa. Colgo l’occasione, attraverso questa risposta, di accompagnare te e tutti i tuoi amici nel nuovo anno liturgico, che inizia con questo tempo di Avvento. Ho scelto di non scrivere una vera e propria “lettera” per il Tempo di Avvento, provando invece a rispondere alle domande che in questo tempo molti dei tuoi amici mi pongono. Sarà il dialogo con voi la mia lettera di Avvento.
A partire da quello che chiedi, mi piacerebbe che questo tempo di Avvento fosse per tutti noi un tempo nel quale imparare ad attendere, stando in piedi. In piedi, si! Non in ginocchio, quasi schiacciati dalle vicende della vita; né tantomeno seduti, quasi indifferenti di fronte a quanto accade nella nostra quotidianità. In piedi, con la speranza negli occhi e nel cuore. Perché l’Avvento è il tempo della speranza.
Sai Lia, Avvento vuol dire avvicinarsi, venire vicino. Un tempo di incamminati, in cui tutto si fa più vicino: Dio a noi, noi agli altri, io a me stesso, in cui impariamo che cosa sia davvero urgente: abbreviare distanze, tracciare cammini di incontro. E sai perché ti dico questo? Perché l’Avvento è, prima di tutto, il farsi prossimo di Dio. È sempre Dio che mi viene incontro, si carica della distanza, s’incarica di tutti i passi. Ricuce i lembi della lontananza. Dio di tenerezza infinita. Ora, Lia, attendere non significa stare ad aspettare, ma “tendere verso”. Il che implica la capacità e la voglia di “svegliarsi”, e la decisione di mettersi in cammino. E il Vangelo ci propone due atteggiamenti iniziali per cogliere il senso di quest’avvento: fare attenzione e vegliare.
Tu sai molto bene cosa comporta una vita distratta: fare una cosa e pensare ad altro, incontrare qualcuno ma con la testa stare altrove, salutarlo e non ricordare più il colore dei suoi occhi, semplicemente per non averlo guardato. Ecco la distrazione: gesti senz’anima, parole senza cuore. Non credo di esagerare se dico che, vivere con attenzione, è l’altro nome non solo dell’Avvento, ma di ogni vita vera, perchè il rischio è proprio quello di non accorgersi di ciò che sta accadendo, mancare gli appuntamenti, non cogliere il significato del tempo presente.
Ma attenti a che cosa? Alle persone, alle loro parole, ai loro sguardi, ai loro silenzi, alle domande mute e alla ricchezza dei loro doni. Prova a pensare a quanta ricchezza di doni sprecata attorno a noi che, purtroppo, distratti, non sappiamo più cogliere. Ed è quello che succede ogni qualvolta diamo tutto per scontato e non riusciamo più a sorprenderci. Prigionieri delle abitudini.
Troppe volte ci lasciamo dominare dal tempo, dallo spazio, da mille e mille cose che non ci fanno più essere noi stessi e ci fanno perdere il senso vero delle cose. Sono tutte quelle volte che pur vivendo insieme, gomito a gomito, non ci incontriamo; sono tutte quelle volte che siamo come isole, separate da tutto e da tutti, quando non sentiamo più dentro di noi quella vibrazione umana che deve nascere dall’incontrarci, dal parlarci, dal condividere tutto di noi. Sono tutte quelle volte che perdiamo il gusto di fare le cose più semplici, di trovare l’entusiasmo nelle cose di ogni giorno, di vivere come persone che hanno una dignità da rispettare ed amare. Non lasciarti ingannare, Lia, la vita non può fare a meno di te, mai! Sii perciò presente al tuo presente. Ecco, perchè, dobbiamo imparare anche ad essere attenti alla bellezza di questo mondo, ma anche alle sue lacrime. Attenti alle piccole cose di ogni giorno, a ciò che accade nel cuore. E poi, vegliare: contro ogni vita senza slancio, contro il lasciarsi andare, contro l’ottusità.
Vegliare vivendo e facendo la verità! Lia, l’opposto della vigilanza è l’ipocrisia, la falsità, la finzione, la doppiezza. Colui che veglia è l’opposto dell’ipocrita perché per vegliare occorre essere tutto lì dove si è senza escludere nulla di sé. L’attitudine interiore della vigilanza domanda l’interezza e non la doppiezza. Vigilare è assumersi in prima persona la responsabilità, la scelta, l’onere. Per essere vigilanti è necessario essere liberi da sé stessi, dal giudizio degli altri e dal dare giudizi. L’opposto dell’ipocrisia è la libertà.
Vegliare dunque, Lia, perché c’è un futuro. Vegliare come guardare avanti, scrutare la notte, spiare le luci dell’alba. Significa che nella notte della prova, nel momento della sconfitta o della malattia, si può volgere l’animo in avanti; che nel giorno della crisi, della separazione, si può rivolgere il cuore ancora verso qualcuno. E la speranza rinasce dall’incrociarsi del cammino di Dio con quello mio. La speranza nasce dall’incrociarsi dell’argilla con le mani di Dio. È questo l’Avvento! Accorgersi che il tempo di Dio si è inserito nel tempo degli uomini, che questo “attimo” è un attimo eterno. Ciò che importa, ciò che è decisivo, è “adesso”. La grande possibilità, la grande occasione da non perdere, è quella dell’oggi. Accorgersi che la vista risulta annebbiata quando è catturata dalla superficialità e dall’effimero, ma anche dalla rabbia e dalla frustrazione; che le mani sono vuote quando sono impegnate ad accumulare e a contare, ma anche a ferire; che il cuore è appesantito quando è pieno di banalità e inconsistenza, ma anche di giudizi. Accorgersi che Il male non sta soltanto fuori, ma è anche annidato dentro di noi. Accorgerti, Lia, dell’attimo, non lasciarlo passare, senza avergli prima prestato attenzione, senza averlo scrutato e cogliere l’appello, l’annuncio di Dio, ma anche il suo sguardo sulla tua esistenza.
Allora Lia, in piedi, per incarnare la tenerezza di quel Dio che riscalda il cuore e porta luce. Come fa Pio. Nella tenerezza del suo sguardo si può sentire tutto il calore e la luce che Dio dona costantemente alla nostra vita, attraverso la luce e il calore della sua vita. La sua unica arma è la luminosità del suo sguardo. Volto luminoso, nonostante la fatica del suo corpo. Quella luce “dentro” ci rende persone di incontri, gente semplice.
E’ sempre Avvento perché è sempre tempo di aprire gli occhi ed il cuore per accorgersi dell’altro accanto a noi, tendergli la mano e prendercene cura. Come fa Peppe: beati coloro che sono ingenuamente luminosi nello sguardo, nel sorriso, nel cuore. Perché attenzione è dare profondità, rendere profondo ogni momento e accorgersi di quanta luce c’è, di quanto Dio vive in ognuno.
Restiamo attenti e vegliamo!
Cerreto Sannita, 24 novembre 2016
+ don Mimmo, tuo Vescovo