“Un misto di sentimenti ed emozioni mi hanno abitato al ritorno alle celebrazioni in chiesa dopo i quasi 27 giorni di isolamento; un rientro coinciso, per me e don Guido, paradossalmente, proprio con l’inizio della zona rossa in Campania. Mi sono sentito consolato dal tornare a celebrare con la gente, di ritrovare volti, quelli dei confratelli sacerdoti e delle persone che munite di autocertificazioni sono venuti: un prete è poca cosa da solo, un prete è sé stesso con gli altri sacerdoti e in mezzo alla gente”.
Don Antonio Parrillo racconta così il suo ritorno alle celebrazioni nel week end del 14 e 15 novembre dopo l’isolamento fiduciario disposto dal vescovo Mimmo Battaglia e la quarantena per il caso di positività al Covid 19.
Don Antonio, quando e come ha saputo di essere positivo? Come ha reagito alla notizia?
“Avevo effettuato il tampone mercoledì 21 ottobre e già il venerdì aveva ricevuto l’esito positivo. Diciamo che ero abbastanza preparato, avevo già “mentalizzato” la cosa perché a chiunque dicessi che mi sembrava di aver perso il gusto e l’olfatto, la risposta era una: sei positivo! Quindi aspettavo solo la conferma; certo, sentirselo dire concretamente, con dati incontrovertibili alla mano, fa un certo effetto, ma dopo il primo istante, la prima botta nello stomaco, ho ritrovato serenità aggrappandomi al dato che stavo e sto bene. Sono napoletano di nascita e anche per questo affronto le cose con pragmatismo e un pizzico di leggerezza ed autoironia: d’altronde l’ho sempre saputo di essere un “ragazzo” positivo!”.
Aveva mai pensato prima che il Covid potesse colpire anche lei?
“Come tutti avevo questo pensiero tra parentesi, sospeso li da qualche parte, ma mai mi ero fermato a pensarci in maniera compiuta. In realtà il pensiero più ricorrente è sempre stato quello successivo: la paura di contagiare qualcuno, soprattutto i più fragili e vulnerabili, le persone a cui vuoi bene; ricordo che quando a fine febbraio cominciò a profilarsi anche al nostro orizzonte più vicino le problematiche della pandemia, decisi subito di non andare dagli anziani per il primo venerdì del mese di marzo, per la consueta vista e comunione a casa, per la responsabilità che avvertii subito di tutelarli. Mi feci presente con un giro di telefonate che pure fu molto bello”.
Secondo lei, in che modo questa pandemia sta cambiando la società? Quali sono gli effetti dell’emergenza sanitaria e sociale che stanno investendo le nostre comunità?
“La domandona difficile da guru ci voleva, mi rendo conto! Scherzi a parte, credo che abbiamo tutti pochissimi elementi ancora per poter tirare le somme di un evento epocale nel quale ci siamo ancora dentro fino al collo. Di sicuro si è acuito tutto ciò che era sopito, come se i nodi problematici e anche le risorse nascoste, fossero esplose. Uno stress test notevole, che purtroppo non è un test, ma è la vita reale. La prova, la tensione a cui la nostra società, le strutture di qualsiasi tipo e i singoli, sono stati e sono ancora sottoposti sta facendo emergere tutte le superficialità istituzionali e personali di qualsiasi tipo, anche religioso, ma anche tutte le risorse nascoste. Quanto tutto questo inciderà in maniera profonda sul tessuto della nostra società e quali sono le tracce che lascerà, ancora non ci è dato di saperlo. Io credo solamente che sia necessario uno scatto di umanità che ognuno di noi può chiedere a sé stesso: maggiore ascolto, maggiore attenzione, maggiore cura delle parole, dei pensieri, delle emozioni, dei sentimenti, di se stesso e dell’altro. Io sento semplicemente che ci è richiesto un aumento di autodisciplina come un regalo da fare a noi stessi però e non come un macigno fra noce e collo: cogliere questo momento delicato e tremendo come un’opportunità di rinascita dell’umano. Un banale esempio: sto ricevendo chiamate di persone che non sento da una vita, o con cui mi sentivo solo nei gruppi e forse in qualche messaggino e che invece hanno sentito il bisogno di far sentire la propria voce con una chiamata, non potendo venire di persona a trovarmi. Io credo testardamente che ci sia più bene e umanità nascosta in questo terribile momento di quanto viene pubblicizzata. Poi per carità i problemi sono notevoli e vanno affrontati, e ognuno deve fare la sua parte e ha le sue responsabilità”.
In questo momento sicuramente difficile, qual è il messaggio che vorrebbe trasmettere ai fedeli?“
“Non cediamo all’ansia e alla paura, alla disumanità e alla cattiveria. Accogliamo questo dolore profondo che stiamo vivendo senza sporcarlo con una rabbia devastante. E la rabbia naturale e doverosa di fronte alle ingiustizie che anche questo tempo lascia emergere più che mai, sia la benzina per un darci da fare costruttivo e mai distruttivo! Organizziamoci, mettiamo in campo fantasia e creatività, offriamo spazi di confronto e segnalazione di situazioni di bisogno. Facciamo rete di solidarietà, ascolto, cura; proviamo a smontare con il nostro esserci il clima di sfiducia collettiva: l’orizzonte ci appare più nebuloso che mai, l’alba tarda a sorgere ma non cediamo alla tentazione di essere alleati delle fitte tenebre che ci avvolgono. Ognuno nel suo piccolo, nel suo raggio di possibilità può fare la propria parte per resistere, combattere e divenire guerrieri di luce, custodi gli uni degli altri con responsabilità e benevolenza, anche “solo” rispettando le norme minime di questo periodo: mascherina, distanziamento fisico e igiene costante delle mani. E non dimentichiamoci di accendere lo sguardo, di attivare l’ascolto, di spalancare il cuore, perché quel metro di distanza e quelle braccia serrate siano colmate da una presenza altrettanto palpabile, altrettanto avvolgente. Siamo tutti impauriti, ma a questa paura siamo chiamati a porre un argine: farla arrivare fino alla necessaria e doverosa prudenza da avere, come segno di una cura per il bene di tutti, per fare la nostra parte e far calare il contagio del virus; ma oltre questo limite c’è una paura di cui liberarsi per vivere, seppure nelle restrizioni, vivere nella libertà di uno spirito e di un cuore che spera, crede e ama, coltivando soprattutto l’umile e paziente fiducia di attendere e nell’attesa operare con attenzione e spirito solidale la cura delle piccole cose di ogni giorno”.