SI PRESE CURA - In cammino da Gerico a Gerusalemme

“Gli fasciò le ferite”

Fasciare le ferite significa, dunque, sapere accompagnare a volgere lo sguardo verso l’amore che permette un’autentica esperienza di liberazione, di salvezza.

Fasciare le ferite indica quel cammino condiviso, capace di innescare un processo

che porta alla vera rivoluzione della tenerezza evangelica, che papa Francesco auspica.

(DALLA LETTERA PASTORALE DEL VESCOVO MIMMO “Coraggio! Alzati, ti chiama!”)

“E qui siamo proprio nel mezzo
nella terra degli uomini,
dove suona la musica,
l’amicizia si genera,
dove tutto è possibile,
dove un sogno si popola,
la chitarra sia elettrica,
e risuona gli armonici,
dove ridono i salici,
dove piangono i comici,
e la forza si amplifica,
ed il sangue si mescola,
e l’amore è una trappola,
mica sempre però,
qualche volta ti libera,
e ti senti una favola,
e ti sembra che tutta la vita non è solamente retorica,
ma sostanza purissima,
che ti nutre le cellule,

e ti fa venir voglia di vivere fino all’ultimo attimo.”

La vera rivoluzione del Vangelo è quella del prendersi cura dell’altro, di ogni altro. È innamorarsi dell’umano, avere a cuore l’umanità di ognuno. Dopo aver visto, aver avuto compassione, essersi fatto vicino, il samaritano fascia le ferite. Fasciare le ferite….è questo il verbo che ci ha accompagnato negli incontri di questa giornata. Ferite come quelle aperte di chi non riesce più a spendersi come un tempo, come suor Maria Consiglia e zia Nannina; ferite come la disperazione di una mamma ed un papà con quattro figli ed una casa da trovare; ferite come la paura che mette a rischio la vita di Luigi ogni giorno; ferite come quelle di Vittoria e di Maria frenate nella loro mobilità fisica; ferite come quella di Luigi che sta lottando per la vita; ferite come quella di Antonio, vittima di un errore medico.

Fasciare le ferite con delicatezza e in punta di piedi. Fasciare le ferite con il silenzio e la pazienza. Fasciare le ferite non per coprirle o per nasconderle, ma per proteggerle affinché possano prendere aria. Aria di speranza, profumo di umanità. Un respiro di fiduciosa attesa per camminare dentro il dolore che ci attraversa.

Come ci attraversa anche una fitta di dispiacere per il Questore Bellassai che, nel salutare i ragazzi della cooperativa sociale iCare, lascia questa nostra terra perché destinato ad un’altra sede, dove siamo certi continuerà a fare il bene.

Non sappiamo il motivo per il quale il samaritano stesse viaggiando da Gerusalemme a Gerico. Di certo non era una persona incauta ed era preparato a quel viaggio (aveva con sé un animale da soma, olio, vino e denari necessari). Di sicuro stava viaggiando per necessità. Perché anche lui, a sua volta, aveva bisogno di fare quel percorso. Probabilmente aveva un’altra ferita più profonda di quella fisica. Per questo stava aiutando quell’uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico. La profondità dello sguardo verso l’altro appartiene solo a chi conosce le proprie profondità.