Il latino è un tesoro (e bisogna capirlo)

A proposito del successo del Liceo scientifico che esclude

Il latino non è mai stato per tutti, ma oggi sembra essere sempre più per pochi. I dati, pubblicati dal Miur, delle iscrizioni degli studenti alle scuole secondarie di secondo grado per il prossimo anno scolastico lo confermano: tra i Licei (le scuole in assoluto maggiormente opzionate, rispetto agli Istituti tecnici e professionali), quello scientifico con l’informatica al posto del latino, il cosiddetto ‘Liceo delle scienze applicate’, è il più quotato nelle scelte dei ragazzi.

Premetto che in merito ho un’idea precisa, che potrebbe non essere condivisa da tutti: è stato un errore, del legislatore (con l’ultima riforma dell’istruzione superiore), prevedere un Liceo scientifico senza il latino, perché così questo finisce per non essere più un Liceo scientifico. Sarebbe però utile interrogarsi sulle ragioni di tale scelta da parte dei giovani e delle loro famiglie. Gira voce che il latino sia ‘difficile’… a volte lo è, senza dubbio, ma come tante altre discipline scolastiche. Non credo sia la valutazione di questa difficoltà a scoraggiare i ragazzi da intraprenderne lo studio, quanto piuttosto la percezione della sua inutilità. Di fatto, chi ha disegnato la riforma scolastica non ha fatto altro che prendere atto di una situazione esistente, cioè dell’opinione diffusa tra gli studenti e i loro genitori.

Il mio amico Nicola Gardini, professore a Oxford, ha scritto per Garzanti un bellissimo saggio diventato rapidamente un ‘best-seller’: Viva il latino. Storia e bellezza di una lingua inutile. Il sottotitolo è ovviamente provocatorio, o, meglio, antifrastico. Gardini, che ha un’ineccepibile formazione da classicista, ritiene che il latino sia utile assai. E spiega come molti attaccano lo studio del latino perché non hanno una chiara idea del concetto stesso di studio, e magari riducono la formazione all’apprendimento di qualche abilità pratica. Ma una concezione utilitaristica del sapere rischia di privare i giovani delle occasioni più stimolanti per il loro sviluppo umano, spirituale e intellettuale.

Bisogna sgomberare il campo da un equivoco: che le materie scolastiche debbano avere un’immediata ricaduta pratica, sul piano, per così dire, operativo. Le competenze che vanno sviluppate nel percorso scolastico devono essere decisamente di più ampio respiro. Del resto, gran parte di ciò che si studia a scuola non serve in modo immediato: il greco o il latino, ma anche la storia, la filosofia, l’algebra o la trigonometria. Studiare serve a conoscere la complessità dell’esperienza umana, a mettere in atto le potenzialità intellettuali, a sviluppare la personalità, oltre, ovviamente, ad acquisire specifiche abilità. Per quale ragione un tempo medici, scienziati e ingegneri spesso avevano una formazione classica? Perché si capiva bene che quelle erano le basi più robuste e più solide, le fondamenta su cui costruire poi l’edificio del proprio sapere settoriale.

Questo abbandono del latino da parte della scuola italiana fa specie soprattutto nel momento in cui in tutto il mondo si manifesta un rinnovato interesse per la lingua di Cicerone. Anche in questo campo, come in altri, chi orienta il nostro Paese appare purtroppo miope, non essendo capace di valorizzare la specificità di quel patrimonio storico e culturale che tutti ci invidiano. Noi che l’abbiamo in casa, non siamo in grado di apprezzarlo e di proteggerlo.

Roberto Carnero

Avvenire, 6 febbraio 2019