Con gli occhi delle stelle, in viaggio “on the road” con il vescovo Mimmo

GIORNO 7: La pazienza della speranza

di Giovanni Pio Marenna

Quante scelte sbagliate nella mia vita. Non ultima quella che m’ha messo in questa condizione. Che si sta rivelando, però, una grande benedizione per la mia vita. Sto capendo quell’essenziale delle sfumature che, probabilmente, avevo bisogno di comprendere. Non che non sia stata guidata da alti valori, da giusti principi, da solide convinzioni. Non sempre, però, sono stata me stessa. Devo ammetterlo. Ed anche le nuove strade che tentavo si rivelavano essere dei vicoli ciechi. Ma qualunque futuro vogliamo costruirci, inizia sempre con il presente che vogliamo cambiare. Il nostro. Ed è stato forse anche per questo che, ultimando il sentiero nebbioso della memoria, la misteriosa figura luminosa mostrò illuminate le mie ultime zone d’ombra, facendomi conoscere chi il suo presente non potrà più cambiarlo, ma potrà ugualmente continuare a viverlo. Chi  inchiodato su una sedia a rotelle, chi rimasto prigioniero con l’Alzheimer di un passato che si ripete, chi non ricorda più nemmeno il motivo per cui è stato sistemato in una casa di riposo, chi non vede i figli da 5 anni, chi a Natale li ha sentiti per telefono; e poi l’album fotografico della memoria: chi ricorda con piacere il periodo di queste festività trascorso in famiglia, chi i viaggi che ha fatto nella sua intera esistenza, chi il lavoro che ha svolto per 40 anni, chi s’è scorciato le maniche per impegnarsi nel sociale.

Francesca, Antimo, Rita, Mario, Antonio, Vincenzo, Nicola, Carmine, Antimo, Luigi, Pietro, Ernesto, Giacomo, Agostino, Maddalena, Ermilda, Vincenzina, Maria, Renata, Antonio, Lucia, Maddalena, Amalia, Annamaria, Rosina, Mercedes, Giovannina, Maddalena, Fabio, Clara, Maria, Peppa, Piera, Enzo, Francesco, Giovanna. Mai finora in questo viaggio avevo conosciuto tante stelle tutte insieme. Una via Lattea di volti e di voci da accarezzare, da ascoltare. Tra di loro anche chi ti restituisce forza e speranza dell’andare avanti sempre e comunque, chi si sente bene perché dopo anni di solitudine domestica è circondato da persone vere e belle, chi benedice gli sguardi che ha incontrato che si prendono cura, chi loda la vita perché è viva in virtù di un amore che risponde sempre presente, chi vuole continuare ad avere il diritto di essere vivo, chi ripete latino, greco, musica e poesie, chi si rimette in cammino per rimettere in moto la speranza nel suo cuore, chi seppur con grande fatica va incontro ad un altro semplicemente per abbracciarlo. “Villa Lina” e il “San Filippo Neri Residence” di Guardia Sanframondi, “Al Prata Residence” e “Villa Ersilia” di San Salvatore Telesino e “Al Prata Residence” di Amorosi sono ambienti tutti diversi. Dall’abbellimento tipicamente natalizio delle travi di legno che sostengono la volta al pavimento a scacchiera, dagli ampi saloni arredati con quadri e lampadari ad ambienti accoglienti e calorosi con fiori dentro e alberi di arance profumate fuori. La vita riparte dai profumi, dai colori, dai suoni. Vedere ultranovantenni che trovano ogni giorno la forza di ripartire ti dà una scossa elettrica. E’ come se avessero preso uno spillone appuntito e mi abbiano punto ripetutamente.

Fu allora che la misteriosa quanto affascinante figura ricoperta di luci, dopo aver lanciato in quei luoghi altri due fiori, quello della gratitudine e quello dell’amore, si svelò. “La tua curiosità sta per essere rivelata. Dunque, quando si parla di me, non si parla di un ottimismo ingenuo e passivo. Né quando si parla di me si parla di un’invincibilità che ci impedisce di cadere, di farci male, di sbagliare, di fallire”. “Non capisco”, dissi proprio a pochi metri dal punto più alto della montagna. “Quando si parla di me, pensa ad uno sguardo che accarezza, che solleva, che guarisce, che rialza. Quando si parla di me si parla di darsi una possibilità per ricominciare. Quando, insieme al dolore, ti rimane ancora del fiato in corpo, anche se minimo, anche se esiguo, è proprio da lì che puoi resistere. Resistere per sperare. Questa sono io: la Speranza!”. La riconobbi. Rimasi a bocca aperta. Aspettavo da tempo quest’incontro. Sapevi che lei c’era sempre stata: tra la folla, nei silenzi, nelle angosce, nelle paure. Bellissima. Porta anche lei stessa con sé gli inferni vissuti nella sofferenza e nel dolore. Ma lasciando trasparire la forza per lasciarseli alle spalle. Pur facendo parte di sé. Cicatrici di qua che restano dolorose. Ferite aperte di là che non sempre si richiudono. Ma nonostante tutto lei c’è. Mettendo nel serbatoio la forza di ricominciare. E’ questo che lessi nei suoi occhi, non appena il mio sguardo si posò su di lei. A quel punto mi ricordai dell’Ave Maria cantata da Piera, una nonnina di appena 97 anni. Voce da brividi, intonazione dolce e armoniosa. Era già quella una consolazione, vitalità per l’anima. Rappresentava la pazienza della speranza. Apre un varco nelle tenebre, genera processi, avvicina per incontrarsi, trova le parole giuste per riempire di luce quel varco. La speranza accende i sorrisi e spegne i silenzi non necessari.