Con gli occhi delle stelle, in viaggio “on the road” con il vescovo Mimmo

GIORNO 5: Fuori dall’abisso

di Giovanni Pio Marenna

Maledetta pioggia! E ci si mise anche la nebbia durante quella notte. Vabbè, non pensiamoci.

Ho sempre odiato guidare con questo tempo. Ho sempre cordialmente detestato guidare, in generale. Ecco perché sto seguendo questi bagliori, questi raggi lucenti delle stelle a piedi. Anche sotto il temporale. Preferisco camminare. Almeno ho veramente il tempo di osservare, di guardare, di sostare, di prestare un po’ più di attenzione su quello che vedo. Piano piano, passo dopo passo. Senza fretta, ma anche senza sosta. Sono fatta così. Mamma me lo diceva sempre: “Chiara, non perdere tempo a dover fare per forza attenzione ad ogni singola cosa: a che ti serve???”.

Ci fu una volta, prima di arrivare quassù in vetta, in cui i bagliori correvano velocemente. Difficile stargli dietro a piedi. Ho dovuto aggirare la strada normale perché mi avrebbero seminato e prendere un sentiero che conoscevo e che m’avrebbe portato dritto alle loro spalle. Cumuli di rifiuti sui lati della strada, fango denso e gocce di pioggia che continuavano a battere forte a terra come se centinaia di frecce venissero scoccate in quel momento. Era quella la sensazione. Ma non potevo distrarmi, rischiando di perdere la scia di luce che lasciavano.

Davanti a me, all’Istituto Riabilitazione “Maugeri” di Telese Terme, pazienti in stati vegetativi ed affetti da patologie post-acute e croniche invalidanti. Molte le situazioni degenerative, quasi tutte quelle in cui non c’era traccia della speranza. L’affidarsi lì è tutto. Affidarsi dei propri familiari o amici. Affidarsi a quanti operano lì per prendersi cura di te. Affidarsi a Dio, per chi crede. Affidarsi anche alla propria forza di volontà. Affidarsi significa tatuare il proprio nome sul corpo di un altro e ad occhi chiusi lasciarsi guidare.

Flussi di pensieri m’invadevano. Sentivo il dolore di queste famiglie. L’ho assorbito come una spugna impregnata d’acqua. Zuppa fino pesare il quadruplo del suo peso reale. Non è sempre facile capire, non ci sono delle motivazioni razionali per tanto dolore. Fu impossibile arrestare il mio singhiozzo che copioso aumentava di minuto in minuto. Fu impossibile fermare le mie di lacrime. Scendevano lungo le guance. Bruciavano davanti a me, sembrava avessi delle fiamme sul mio volto. Che danzavano, gridando. Ogni ferita è dolorosa. Ed ogni dolore è una lezione da custodire. Ed ogni lezione ci rende migliori. Può, a volte, non sembrare sia questa, può perfino, altre volte, non vedersi. Ma è questa la strada. E quando guardi nell’abisso di questa strada, sicuramente troverai sempre qualcuno che ti eviterà di cadere, di precipitare, di farti del male.

E mentre le lacrime gridavano in silenzio, i miei occhi urlavano incredulità. Troppo dolore da accogliere, troppa stanchezza con cui fare i conti. Non potevo avere la forza di proseguire il cammino. Ero confusa, tutto questo non era sopportabile. L’aria stessa di responsabilità si stava facendo irrespirabile. Ed io non volevo averla sulle spalle. Volevo interrompere questo viaggio, metterlo da parte, dimenticarlo.

Ma arrivano momenti in cui nulla è facile. E devi compiere o rinnovare le tue scelte. Quando ci si sente chiamati e si risponde “Eccomi!”, non si può poi rimanere fermi. Perché in quella risposta a camminare si sviluppa un movimento, un andare, un partire per ricominciare con pazienza. E’ un fare della propria vita un dono a servizio dell’altro, è una risposta ad un dono ricevuto con un dono da offrire, da mettere a disposizione. Sottovoce, a piedi nudi e cuore scalzo. Con il poco che si ha. Questo non può non spingerci ad uscire. A provare a fare qualcosa per gli altri, pensavo. No, affatto. Sono gli altri, in quel momento, che in realtà stanno facendo qualcosa di meraviglioso per te, nella tua vita. L’altro nella mia vita è il dono stesso del viaggio, delle tappe che ho percorso prima di salire fin qui. Un viaggio che, per definizione, non può essere statico, con istanti congelati per sempre che si ripetono all’infinito in maniera ripetitiva e meccanica. Lo sono nella memoria, non nel cammino che deve comunque proseguire.

Ho trovato ciò che, soprattutto nel dolore e nella sofferenza, rende la mia vita un dono a servizio dell’altro. Era consolante pensare che si potesse dire al dolore: “Non ti temo! Non ho paura di te! Con me non puoi niente”. Lui porge la mano in mezzo alla gente, ti trascina via con sé e colpisce. Non lo ferma il denaro, non lo ferma il cibo, non lo ferma il vino, spesso neanche i medicinali. Il dolore lo può addolcire solo l’amore. Ballandoci insieme faccia a faccia. Guardandolo dritto negli occhi.

Lasciai quel posto di pessimo umore. Mi dispiaceva troppo. E mentre pensavo di chiamarmi fuori e di ritirarmi a vita privata da quel viaggio, il bagliore aumentò di volume. Feci qualche passo indietro. Fu allora che la vidi così bella. In tutto il suo splendore.