Miei cari giovani,
questa lettera di Quaresima è per tutta la nostra comunità ma mi rivolgo in particolare a voi che ne siete il cuore, ne siete il presente. Il Papa, nel Convegno Ecclesiale di Firenze, si è rivolto a voi, alla vostra forza e al vostro coraggio: “Non guardate dal balcone la vita ma impegnatevi, immergetevi nell’ampio dialogo sociale e politico. Le mani della vostra fede si alzino verso il cielo”. La vostra presenza è preziosa, profezia di un cammino che ci attende ogni giorno solo insieme!
La carità vive in noi, nelle nostre comunità, come amore capace di vedere l’altro, di accorgersi del povero, di dare un nome all’ingiustizia, di provare compassione, ma ha bisogno di percorrere le vie del tempo presente, con le sue difficoltà, i ritardi, l’indifferenza sociale. Un amore che spera è un amore che crede nella capacità di cambiamento, nella conversione dei cuori, nel cammino che coinvolge tutti gli ambiti della esistenza personale e condivisa.
Voi giovani interpellate il nostro senso di responsabilità. Desideriamo costruire il futuro con voi! Abbiate sempre il coraggio di andare oltre: di credere nell’umano amato a tal punto da Dio da costituirlo via di salvezza; di avere fiducia nel futuro dell’uomo e della comunione fraterna; di accogliere Dio nella prossimità degli ultimi della terra, degli ultimi della nostra terra.
Sperare non è staccarsi dalla realtà presente, è avere i piedi ben piantati a terra, implicarsi e impegnarsi con coraggio, non cedere a logiche di potere e di sopruso, non cedere all’indifferenza o alla rassegnazione, fare un uso intelligente e costruttivo dei mezzi che oggi abbiamo a disposizione e che cambiano continuamente.
I vostri volti e le vostre oggettive ferite ci ricordano che c’è di più! Un di più che sa andare oltre le apparenze, i silenzi e le chiacchiere vuote, il nichilismo nascosto nei talk show in diretta o in differita. C’è di più. Non è un ritmo che cerco di dare artificiosamente alla speranza, ma un invito, nella consapevolezza che qualcosa di più profondo e importante c’è. In un mondo che sembra irretito dai sogni di una tecnica incapace di tendere all’autentico sviluppo dell’uomo, c’è il di più della nostra imperfezione irriducibile che ci rende unici nella sete che ci portiamo dentro, sete di libertà, bisogno di relazioni vere. Noi valiamo più di quanti “mi piace” riceviamo. Il nostro tempo vale più di una connessione, un sorriso e occhi che si incontrano valgono più di tante parole.
Abbiate il coraggio di credere come ha creduto Gesù, di sperare e amare come ha fatto lui.
Domenica leggeremo, dal vangelo di Marco, che Gesù è spinto dallo Spirito nel deserto dove sarà tentato per quaranta giorni. Gli altri due sinottici, Matteo e Luca, presentano le tentazioni alla fine dei quaranta giorni di preghiera e digiuno, quando Gesù ha fame.
Se si ha potere di farlo, perché non fare in modo che la pietra diventi pane? La tentazione arriva in maniera ragionevole: “Se hai un potere, se hai un posto di maggiore responsabilità e puoi procurarti dei privilegi, fallo prima di tutto per te stesso e per i tuoi, per i tuoi amici o per quelli che conviene siano in debito con te! Se hai un lavoro, pensa a tenertelo stretto, a sfamare i tuoi, se puoi cura la tua carriera, anche a costo di passare sulla pelle di altri, anche a costo di cedere a giochi di potere e collusioni. Tieni lontana da te la piaga della disoccupazione, dello sfruttamento, della povertà!”
Ma la risposta di Gesù alla tentazione ci chiarisce il digiuno che ha vissuto nel deserto, cioè il digiuno della condivisione reale dell’esistenza: il digiuno dell’illusione, del facile guadagno, dei privilegi, dei primi posti e dei riconoscimenti, dell’adulazione, dell’ambizione e della vanità, dell’individualismo, il digiuno non solo del superfluo ma dell’essenziale perché altri ne abbiano.
Ha vissuto il digiuno possibile all’uomo che non crede che il male sia ineluttabile.
Questa speranza oggi rinnova la nostra fede e le ridona coraggio chiamandoci tutti a conversione: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al vangelo”. Credere al vangelo, credere che il regno di Dio non passa attraverso logiche di potere, che non si piega agli inganni della ricchezza, che è capace di risvegliare le nostre coscienze tiepide.
La prossimità di Dio è in Gesù che si fa solidale con l’uomo servendo l’umano fino in fondo, assumendo la condizione degli uomini.
La comunione con Dio e con gli uomini, cercata nella cura del bene comune, è criterio per riconoscere il vero bene, ciò che costruisce l’umano, prossimità e reale preferenza del debole: se non tutti possono far diventare la pietra pane, neppure Gesù può. Nel deserto Gesù decide sostanzialmente lo stile della sua missione in mezzo a un popolo che aspetta un messia potente che può fare tutto ciò che vuole. La sua vita è consegnata perché altri possano vivere e credere che la comunione sulla terra è possibile.
“Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, dividere il pane con l’affamato?” (cf Is 58,6-7).
Che cosa è la fede se non il coraggio di voltarsi, convertirsi, al grido di dolore dell’umanità?
Questo è il vero senso del digiuno e anche il vero senso del cammino, è la speranza della nostra vocazione di figli e fratelli nell’unico Padre.
Voi giovani conoscete la frammentazione di progetti fittizi, misurate il vuoto di parole che nulla hanno a che fare con la normale vita concreta, conoscete i grandi spazi della comunicazione pregni di solitudine e segnati spesso dalla prepotenza. La vostra fragilità può diventare opportunità, la vostra fame di giustizia è già annuncio di risurrezione, per voi e per l’intera comunità.
Vorrei che in questo tempo di quaresima ci fermassimo a pensare insieme. La ricerca di verità, di vie più giuste di attuazione del bene e di realizzazione autentica del mondo, è la vera risorsa che può liberare la nostra e l’altrui responsabilità. Voi lo testimoniate con la vostra vita: il senso del cammino non è arrivare primi ma camminare e arrivare insieme!
La vita ci sorprende. C’è sempre una mano tesa a dare, a rialzare, a incoraggiare. C’è sempre. Perché non la vediamo? I più poveri ce lo insegnano e ci muovono a pensare che nel nostro cuore c’è, forse nascosto in un angolo, il desiderio di un’attesa condivisa, di un cambiamento. Incontrarsi in questo desiderio è un vero prodigio. Incontro di sguardi, incontro di mani, piedi che si fermano per condividere il passo e ripartire insieme.
Non sono i grandi programmi che qualificano il cammino ma il tempo speso a renderci conto di questo amore che è già nella vita dei più poveri, dei così detti ultimi.
Camminare insieme diventa opportunità per dare respiro a chi ha la coscienza ripiegata su se stessa. La gratuità, l’amicizia, la lealtà, l’onestà, hanno gambe e arrivano lontano, hanno la forza per ricordarci il vero senso del nostro essere qui sulla terra.
La speranza crede nell’umano salvato e amato da Dio quando si impegna a cercare vie concrete di solidarietà, di condivisione, quando si apre all’amicizia sociale, al desiderio di costruire comunità. Un passo dopo l’altro, un cammino non finalizzato a risultati immediati e individuali, a risolvere tutti i problemi, ma al bene, di tutti e di ciascuno, alla comunione possibile di figli e fratelli.
Giovani, la quaresima è il tempo per dire no. No all’indifferenza, no al pensiero che la vita dell’altro non ci riguarda; no ad ogni tentativo di banalizzare la vita. No alla rassegnazione, no ad ogni paura. No all’apparenza.
Ma anche no ad una preghiera che ci tranquillizza la coscienza, ad una elemosina che ci lascia soddisfatti, ad un digiuno che ci faccia sentire a posto. Perché non si può arrivare a Dio scansando le piaghe di Cristo presenti nelle piaghe dei suoi fratelli. Perciò, non giovani della Passione, ma giovani appassionati, che è tutta un’altra cosa. Appassionati, innamorati! Di Dio, della vita, della giustizia, della pace, dell’amore. Sapendo che il patire è la conseguenza dell’essere appassionati. Ma è qui che rinasce la speranza.
Questo ci aspetta, amando lo spazio delle nostre relazioni, purificando la nostra “ambizione” che ci divide in primi e ultimi. Il senso è anche il compito, la promessa.
Prendiamoci questo impegno nella quaresima che si apre e che ci prepara alla Pasqua di Gesù.
Questa fede ci dà respiro perché ha accolto la sfida di una reciprocità possibile e affidata, alla cura dell’altro e alla provvidenza di Dio. Fermarsi presso l’altro per riprendere solo insieme il cammino, al passo di chi resta indietro.
Carissimi giovani, fatevi sentinelle del mattino! “Allora la vostra luce sorgerà come l’aurora, la vostra ferita si rimarginerà presto. Davanti a voi camminerà la vostra giustizia” (cf Is 58,8).
È sempre notte quando si va al sepolcro dei nostri fallimenti, delle nostre disillusioni.
Ma è di notte che è bello attendere l’aurora.
È di notte che ci si scopre attesi dall’aurora.
Giovanni Battista aveva detto di se stesso: “Non sono la luce”. Se siamo veri con noi stessi e con gli altri, con il Signore, vedremo da dove viene la luce, da dove spunta l’aurora. Lì risorgerà anche il nostro grazie. L’attesa diventerà un attendersi reciproco… davanti a un sepolcro vuoto! La luce, accolta in noi, la vedremo risorgere negli occhi degli altri, la cercheremo ancora perché ne abbiamo visto l’origine. Ci saranno albe, ci saranno aurore, ci saranno tramonti a illuminare ancora il cielo… ma solo perché abbiamo visto sorgere dalla notte quella luce! Ed è speranza, oggi e sempre!
+ don Mimmo, vostro vescovo
“Voi piuttosto fatene un altro: un digiuno che sia profezia.
Astenetevi non tanto da un pasto, ma dall’ingordigia, dal sopruso,
dalla smania di accaparrarsi, dalle collusioni disoneste con certe forme di potere.
Più che privarvi di un piatto, privatevi del lusso, dello spreco, del superfluo:
ci vuole più coraggio.
Più che non toccare un pane, dividete il pane:
il pane delle situazioni penose dei disoccupati,
degli sfruttati, dei disperati che ci stanno attorno”.
(don Tonino Bello)