“Bocca di rosa”, “La Città Vecchia”, “Il testamento di Tito”, “Spiritual”, “Il pescatore”. Non era affatto facile cimentarsi nell’interpretazione musicale e canora dei brani di Andrè, ma Angela Del Vecchio e Andrea Venditti (due componenti del gruppo musicale degli Euphonia Quartet) ci sono riusciti. Voce e chitarra hanno trasmesso passione, suggestione e commozione, testi e musiche hanno donato riflessione e spiritualità in un salone d’ingresso della Casa Santa Rita di Cerreto Sannita (sede della Caritas, della cooperativa sociale “iCare” e della Casa per la Pace “Don Tonino Bello”) pieno zeppo di persone interessate ed incuriosite dal percorso personale che l’autore del libro “Dio del cielo vienimi a cercare – Faber, uomo di ricerca”, don Salvatore Miscio, aveva fatto e che voleva proporre, trasmettendo, attraverso i testi dei brani di De Andrè, quello che è stato il percorso spirituale e di ricerca di Faber, nonché il suo rapporto con Dio. Testi di Andrè che, ancora oggi, provocano e smuovono le coscienze.
Promossa dall’Azione Cattolica diocesana e condotta dal consigliere diocesano del settore Giovani Ennio Salomone, nella presentazione di questo libro-ricerca si mette in evidenza il percorso spirituale di Faber, incentrato sul vero concetto di pietà e sul cogliere il punto di vista di Dio per imitarlo, incentrato sull’amore verso gli ultimi e gli esclusi, incentrato sulla non omologazione e sul non conformismo degli umili eroi delle sue canzoni (“servi disobbedienti alle leggi del branco”) e sulle due più grandi accuse che egli muove al potere: l’ipocrisia e l’apparenza.
“Un punto fermo resta in Fabrizio – sottolinea don Salvatore, Assistente regionale Ac Giovani della Puglia, ed è il perdono, ed è presente in moltissime canzoni, tra cui Il testamento di Tito (“Nella pietà che non cede al rancore, madre ho imparato l’amore”): Cristo – spiega il sacerdote – sulla croce avrebbe avuto tutti i motivi di questo mondo per provare rancore nei confronti di chi lo stava uccidendo ingiustamente. E invece lui perdona. Questo gesto rimarrà in mente a Fabrizio da quando, adolescente, durante una lezione di religione a scuola, il suo insegnante, don Fabio, gli parlava di Gesù e di un Gesù un po’ più umano. Siamo negli anni ‘55/’56. E Fabrizio, che non aveva mai ascoltato con interesse la lezione di religione, quel giorno rimase colpito. E questa cosa gli entra così tanto nel cuore da scrivere negli anni successivi “Si chiamava Gesù”, “Spiritual”, “Preghiera in gennaio”, “Smisurata preghiera” e, più tardi negli anni, comporrà un album intitolato proprio “La Buona Novella”, dove riprende il concetto del perdono. Gesto di Gesù Cristo che lui ripeterà. Perché, quando qualche anno dopo che sarà sequestrato dall’Anonima Sequestri Sarda, liberato dal sequestro perdonerà i propri sequestratori e non li denuncerà. Fabrizio indica al mondo intero, soprattutto all’Italia in quel momento, che, se vogliamo fare una rivoluzione e cambiare il mondo, la strada è una sola: imitare Gesù Cristo”. A De Andrè non piace pensare al Dio a lui insegnato al catechismo nel dopoguerra: un Dio freddo, distante, lontano, un Dio non vicino agli ultimi e agli indifesi. Al contrario il Dio di Faber è quello raccontato e testimoniato da Gesù nel Vangelo: un Dio di misericordia, un Dio d’amore, un Dio che ci chiama e che ci viene a cercare, un Dio di giustizia e di pace. De Andrè ha raccontato storie: assorbiva tutto nella sua vita e lo distillava nelle sue canzoni. Ascoltare queste storie con più attenzione significa dare più attenzione alle tante Marinella, Geordie, Michè, Piero e Bocca di Rosa del nostro territorio.
Secondo don Salvatore nella produzione di De Andrè si coglie un’immensa ammirazione per Gesù Cristo e per la sua umanità, che il cantautore reputa il più grande rivoluzionario della storia e che Faber non può e non vuole pensare come figlio di Dio, ma “come figlio dell’uomo e, quindi, fratello anche mio”. «De Andrè vede con sospetto e con indignazione ogni istituzione che serva al potere per autogiustificarsi. Tra queste annovera la chiesa. Il Dio, da essa rappresentato, lo percepisce lontano da chi ne ha veramente bisogno. Ma tra gli altri c’è la figura di Gesù, al cui fascino di uomo autentico, prossimo ai poveri e dalla denuncia chiara di ogni abuso di potere, anche religioso, De Andrè non sfugge. Ama pensarlo figlio dell’uomo, fratello suo, piuttosto che figlio di Dio perché non poteva immaginarlo come il figlio del Dio freddo e distaccato che gli era stato fatto conoscere, perché non voleva allontanarlo da sé e per non avere un alibi per non imitarlo. Invece Fabrizio – conferma don Salvatore – lo vuole imitare: quando parla di Dio c’ha il dente avvelenato, ma quando parla a Dio (ci sono canzoni in cui Faber si rivolge direttamente a Dio), il suo tono cambia.
E in una serata di approfondimento e di omaggio al “cantore degli ultimi”, l’Ac diocesana e la cooperativa sociale di comunità iCare hanno pensato di valorizzare e sviluppare i talenti e le potenzialità di ragazzi e di giovani con fragilità. A fine presentazione, infatti, proprio loro, componenti del laboratorio didattico di pasticceria di comunità “iCARE DolceMente” partito da qualche mese, hanno offerto ai presenti dolci preparati da loro nel pomeriggio. “Ho iniziato a fare questa ricerca e, successivamente, scritto questo libro – ha completato il suo intervento don Salvatore, citando anche altri brani che non sono stati suonati come Via del Campo, La canzone di Marinella, Un giudice, Preghiera in gennaio, Smisurata preghiera e Girotondo – per imparare a cercare Dio anche attraverso altre strade. Da tutti possiamo sempre imparare qualcosa. E rileggendo il Vangelo, dopo aver ascoltato le canzoni di Fabrizio, è come se mi fossi pulito le orecchie: sentivo decisamente meglio, con una freschezza nuova. A me ha cambiato la vita di credente e di prete. Se vogliamo cercare Dio, l’unica strada è cercare l’uomo che ci sta accanto”. “La scelta della vera fede – ha detto il vescovo della Diocesi don Mimmo Battaglia a conclusione dell’incontro – sta nel prediligere ciò che è umano contro tutto ciò che è disumano. Fabrizio De Andrè ha molto da insegnarci su questo: il coraggio di schierarsi e di scegliere da che parte stare”.