Cari fratelli, ci ritroviamo per il nostro ritiro mensile che ci raccoglie ai piedi del Signore, presente nella Santa Eucarestia. È lo stesso Signore che ci prepariamo ad accogliere in questo nuovo Natale che il Signore ci dona di vivere. Un Natale purtroppo ancora segnato dalla pandemia, che tanto smarrimento e incertezza sta seminando nel cuore di tutti. Il Natale cristiano resta però una buona notizia, forse l’unica in questo tempo: il mondo non è abbandonato a se stesso, il Signore viene ad abitare in questo mondo. Se tu squarciassi i cieli e scendessi diceva il profeta Isaia. Se tu squarciassi i cieli e scendessi”! Dio viene per insegnare di nuovo agli uomini la via della giustizia e della pace, viene per perdonare e donare misericordia. Dio ama gli uomini e non li abbandona! Bisogna essere pronti. Non verrà in modo da imporsi, in modo da costringere gli uomini annullando il dono della libertà che ha loro donato. Egli viene, ma chi se ne accorge? Gesù viene; Non ci porterà la soluzione ai nostri problemi, ma la forza dell’amore di Dio che non rinuncia a combattere, a sperare, ad amare; ad aiutare gli uomini a lottare e costruire un mondo migliore a partire dal cambiare se stessi, dal ricostruire un tessuto umano di famiglia sfilacciato e logoro dove i fili più che essere intrecciati sembrano essere separati gli uni dagli altri. La liturgia della domenica è il luogo privilegiato dove ritrovare il senso del nostro vivere insieme. Cari fratelli, nella sua meditazione il nostro caro Don Franco, la volta scorsa, diceva: “…Ci auguriamo che la celebrazione eucaristica diventi sempre meno rito, sempre più esperienza di accoglienza, di rivelazione del Dio con noi, di misericordia, di rinascita, di festa gioiosa della comunità che, finalmente, nella gioia di stare insieme, incontra il suo Signore risorto.”
Cari amici, lo sappiamo, la celebrazione della messa domenicale è stata messa a dura prova dalla diffusione del Covid-19 e dalle necessarie limitazioni per contenerla. La liturgia, “sospesa” durante il lungo periodo di confinamento, e le difficoltà della successiva ripresa, anche quelle attuali, hanno confermato quanto già si riscontrava nelle assemblee domenicali, allarmante indizio della fase avanzata del cambiamento d’epoca. È evidente come nella vita delle persone sia mutata la percezione del tempo e, di conseguenza, della stessa domenica, con ricadute sul modo di sentirsi comunità, popolo, famiglia, popolo di Dio. In questi nostri ultimi anni la domenica si è andata svuotando progressivamente del suo contenuto religioso cultuale. Anche linguisticamente si è passati da “il giorno del Signore” al “week-end”: da “il primo giorno dopo il sabato” al “fine settimana”. La cultura, la civiltà contemporanea hanno trasformato la domenica in un giorno non di riposo, ma di accelerazione. È nata addirittura l’industria del tempo libero, che programma tutto: come, con chi, dove far festa, offrendo divertimenti che distraggono, ma non aiutano a cambiare il cuore. Anche molti cristiani, vivono la domenica senza alcun riferimento religioso, trascurando con grande superficialità e indifferenza la stessa festa della fede che è l’Eucarestia.
I centri commerciali sono diventati le nuove cattedrali dove riunirsi e, se sono una vera oasi per le famiglie, rendono più difficile che in altre epoche la celebrazione cristiana della domenica. E neppure il riposo domenicale favorisce una domenica cristiana poiché per molti giovani esso è tempo di frenetica evasione notturna, mentre per molti adulti è tempo di fuga, di evasione, cosicché molto spesso, alla fine, si è più stanchi di quando il fine settimana è iniziato.
Sotto il profilo pastorale è necessaria una riflessione sul senso cristiano della domenica, giorno del Signore risorto.
Non la Chiesa ha creato la domenica: essa l’ha ricevuta come dono dal Signore. La domenica è nata, infatti, dalla Risurrezione! È la Pasqua settimanale.
Uno dei più gravi errori del nostro tempo è il distacco tra la vita e la fede: fede che si fa consistere esclusivamente in atti di culto e in alcuni doveri morali» (GS 43). Se già nel Vecchio Testamento Dio rimproverava il popolo « che lo onorava con le labbra, mentre il suo cuore restava lontano da Lui» (Is 29, 13), con il Nuovo Testamento il legame tra il culto cristiano centrato sull’Eucarestia, e la vita appare più stretto. Infatti il sacrificio eucaristico è non solo un atto di fede, ma anche una espressione di carità, ed è, nello stesso tempo, la sorgente da cui sgorga questa carità».
I cristiani, fin dall’inizio, hanno celebrato la Domenica. Scrive il Vaticano II: “Secondo la tradizione apostolica, che ha origine dal giorno stesso della risurrezione di Cristo, la Chiesa celebra il mistero pasquale ogni otto giorni, in quello che chiama giustamente giorno del Signore o domenica” (Sacr. Concilium, 106). E San Girolamo affermava: «La domenica è il giorno dei cristiani, è il nostro giorno». In effetti, la Domenica li distingueva dagli altri: solo i discepoli di Gesù ricordavano la Pasqua di risurrezione. Ecco perché dicevano: «Non possiamo vivere senza la domenica», ossia: “non possiamo vivere senza fare memoria della Pasqua”.
Così i primi cristiani vivevano la Domenica. Era una scelta che sentivano decisiva, anche se comportava problemi. Alcuni, per questo, affrontarono persino il martirio. Ad Abitene (una cittadina dell’odierna Tunisia), nel 304, venne arrestato un gruppo di cristiani. Di fronte al proconsole che li accusava di riunirsi illecitamente, Saturnino, uno di loro, rispose: “Noi dobbiamo celebrare il giorno del Signore: è la nostra legge”. Dopo di lui fu interrogato il proprietario della casa, di nome Emerito. Il proconsole gli chiese: “Ci sono state riunioni proibite a casa tua?”. “Si, abbiamo celebrato il giorno del Signore”, rispose Emerito. “Perché hai permesso loro di entrare?” chiese il proconsole. Ed Emerito rispose: “Sono fratelli e io non potevo impedirlo”. “Avresti dovuto farlo”, replicò il proconsole. Ed Emerito affermò: “Non potevo farlo, perché noi non possiamo vivere senza celebrare la cena del Signore”. E vennero condannati a morte: furono martiri della domenica.
Giovanni Paolo II: “In molte regioni i cristiani sono, o stanno diventando, un “piccolo gregge”.
La Domenica resta il giorno della Chiesa, il giorno dell’identità dei cristiani.
La sapienza di Israele insegnava: «Non è Israele che ha salvato il Sabato, ma il Sabato che ha salvato Israele». Con la Domenica il Vangelo chiama i cristiani a uscire dalla mentalità individualista ed egocentrica di questo mondo per vivere un tempo di interiorità, di comunione fraterna, di fraternità nel Signore. Tutto ciò non è scontato; richiede anzi una scelta e un’educazione di noi stessi.
Cuore della Domenica è la celebrazione della Eucarestia, momento in cui i cristiani incontrano Gesù risorto. La Messa domenicale è la nostra Emmaus. L’episodio narratoci da Luca descrive le due parti fondamentali della Messa: la liturgia della Parola e la liturgia della Cena.
L’Evangelista nel capitolo 24 narra il giorno di Pasqua. Luca racconta il lungo incontro del Risorto con due semplici discepoli. I due, infatti, sono del tutto sconosciuti (di uno non si sa neppure il nome e l’altro, di nome, Cleopa, non appare mai nel Vangelo). Perché Luca ha composto così il capitolo che narra il giorno centrale del cristianesimo? Non sarebbe stato più logico mostrare l’incontro di Gesù con la comunità? Non credo che andiamo lontano dalla verità se diciamo che l’evangelista, in quei due vede rappresentati tutti i cristiani di ogni tempo. È a dire che i cristiani, di ieri e di oggi, incontrano il Risorto allo stesso modo dei due di Emmaus: ossia ascoltando le Scritture e spezzando il pane. Celebrando quindi la Liturgia Eucaristica. Ogni volta perciò che si celebra la Messa, Gesù in persona torna in mezzo ai discepoli radunati, li trova anche delusi e scoraggiati, parla con loro, li ascolta e spezza il pane con loro. Sì, l’Eucarestia domenicale realizza Emmaus. Anche noi, come i due discepoli, spesso non comprendiamo il mistero di questo straniero che si avvicina e ci parla. Quante volte la Messa ci è “straniera”! Succede quando ne facciamo un rito da ripetere a volte anche stancamente. Eppure la Messa torna fedelmente ogni Domenica per radunare un popolo disperso. Torna anche quando noi siamo lontani con il cuore. Ma se vogliamo incontrare il Risorto è l’unica via. Viviamola sempre con amore, facciamone il momento centrale della vita di comunità perché ognuno, man mano, si senta scaldare il cuore nel petto e, nello “spezzare il pane” tutti possiamo “gioire al vedere il Signore”.
L’Eucarestia della Domenica non è una delle attività che la Chiesa compie, ma è la Chiesa nel suo senso più pieno. Tutto, pertanto, nell’Eucaristia domenicale (parole, gesti, luogo, canti…) deve concorrere per realizzare l’incontro con Gesù risorto, tutto deve manifestare la festa che si celebra. In tal senso, la Liturgia Eucaristica si pone su un piano del tutto diverso da quello di una fredda ripetizione di gesti esteriori; non può essere un momento freddo, asettico, astratto; non è neppure il momento della istruzione, della catechesi, delle spiegazioni. La Liturgia non è il luogo ove spiegare, ma il luogo dove si celebra il mistero della passione, morte e risurrezione del Signore. Per questo la Messa domenicale non è semplicemente una “ricarica”, ma è “il culmine e la fonte” della vita cristiana, anzi il “culmine” della storia, come recita il Vaticano II.
La Liturgia Eucaristica è, perciò, lontanissima dall’essere il luogo del protagonismo dei partecipanti o dei ministri, e tanto meno il momento in cui fare mostra delle proprie abilità. La Messa è Santa. È come il “roveto ardente” dell’Oreb. Mosè dovette togliersi i sandali per avvicinarsi. Quando celebriamo, siamo alla presenza di Dio e partecipiamo alla comunione della Trinità e alla festa del cielo. Nessuno è protagonista, perché l’unico vero protagonista è il Signore che si offre sull’altare per noi. Tutti, a cominciare dal sacerdote, ministro dell’altare, sono servitori e non padroni. Purtroppo talvolta si può creare una mentalità da padroni. C’è chi si sente padrone della chiesa, altri della sacrestia o dell’amministrazione, alcuni della statua del patrono, altri ancora dei vari momenti di preghiera, come le feste e le processioni. È necessario ricordare che se perdiamo lo spirito di servizio rischiamo di rendere la casa di Dio non un luogo di preghiera, ma, come ebbe a dire Gesù nel cortile del tempio di Gerusalemme, una “covo di ladri” (Mt 21,13), composto di gente che non serve il Signore, ma utilizza la sua casa per affermare se stessa o per impossessarsene.
Anche dopo aver preparato la mensa del Signore rimaniamo tutti “servi inutili”, uomini e donne chiamati a rendere lode a Dio. Un giorno i discepoli chiesero a Gesù di “accrescere la loro fede”. Il Maestro rispose: “Se aveste fede come un granello di senapa, potreste dire a questo gelso «Sràdicati e vai a piantarti nel mare», ed esso vi obbedirebbe. Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: «Vieni subito e mettiti a tavola»? Non gli dirà piuttosto: «Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu»? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare»” (Lc 17,6-10).
Tutti, quando in modi diversi animano o partecipano alla Liturgia, sono al servizio della mensa del Signore. C’è chi prepara la chiesa, altri l’altare, altri si dedicano al servizio liturgico o al canto, ricordando che nessun servizio è a vita. Così, insieme a noi sacerdoti rendono bella e gioiosa la celebrazione. Infatti la Messa della Domenica deve esprimere la gioia e la festa di una Comunità che si raccoglie attorno al Signore.
La Liturgia Eucaristica va preparata bene. Anticamente il sacerdote prima di iniziare la Messa doveva recitare delle preghiere che lo disponevano a una celebrazione degna. Oggi si arriva molte volte affannati, ci si prepara in fretta, si decidono i compiti da assegnare all’ultimo momento, si comincia la Liturgia quasi senza uno stacco dalle consuete faccende in cui ciascuno è impegnato. La sciatteria e la consuetudine spesso impediscono una bella celebrazione, degna del momento più alto della presenza del Signore in mezzo a noi.
Un grande vescovo orientale lamentava: «Credetemi, la maggior parte dei nostri fedeli… non avvertono lo stupore meravigliato del soprannaturale – pensiamo all’esclamazione di Pietro di fronte al Cristo trasfigurato: ‘Signore è bello per noi stare qui!’ – Ahimè! Nelle nostre chiese regnano così sovente un pietismo individuale o atteggiamenti abitudinari. Eppure il dramma della vita, della sofferenza, della morte, dell’amore più forte della morte si svolge proprio qui, nella chiesa, quando lo Spirito ci rappresenta la Pasqua di Nostro Signore. Tutto è lì, tutto».
Eppure, continua il santo vescovo, i fedeli e, spesso, anche i sacerdoti, se ne stanno estranei al dramma di Gesù che si svolge davanti a loro, pessimisti e tristi nel cuore.
Insomma, solo se la vita evangelica è bella, può essere attraente, Il cristianesimo non è una chiamata al sacrificio, bensì alla bellezza dell’amore che non di rado richiede anche sacrificio. E questo deve apparire con particolare evidenza nella Eucaristia della Domenica.
Il Vaticano II ci ricorda che Dio ha voluto salvare gli uomini non singolarmente, ma raccogliendoli in un popolo. Ebbene, l’Eucarestia domenicale è il principale «cantiere» ove si costruisce questo popolo, è il momento più alto in cui gente dispersa viene raccolta per formare l’unica la famiglia di Dio. San Tommaso, con una bella espressione, dice che l’Eucarestia è il sacramento “quo ecclesia fabricatur”, appunto, il “cantiere” dove si fabbrica la Chiesa, dove si edifica il “popolo di Dio”. È l’Eucaristia che fa la Chiesa, e la “fa” con particolare evidenza nel giorno del Signore. La messa raccoglie i diversi “io” in un “noi” mistico. La Liturgia Eucaristica domenicale “costruisce” la comunità cristiana, la parrocchia. E la edifica non come un ghetto, come un gruppo di persone chiuso in se stesso, ma come immagine della Trinità, comunione piena di amore che non conosce confini. Per questo la scelta di rendere la Messa della Domenica il momento centrale della vita della comunità cristiana è opportuno. Certo non esaurisce né la ricchezza della Liturgia della Chiesa (basti pensare alle celebrazioni dei diversi Sacramenti e alla Liturgia delle Ore), né la molteplicità delle altre forme di preghiera. Ma senza dubbio la Messa della Domenica qualifica la vita di una comunità cristiana. Da come vive la Liturgia Eucaristica della Domenica si comprende la qualità evangelica di una comunità.
Facciamoci servitori della presenza del Signore nella Liturgia! Dobbiamo abbandonare i tratti della fredda ritualità, ancora molto presenti nelle nostre celebrazioni, e recuperare tutta la ricchezza e la forza del linguaggio liturgico attraverso i canti, i gesti, l’incenso, la proclamazione della parola di Dio, il calore umano dell’assemblea… La Liturgia Eucaristica – è bene ripeterlo – è il cuore della Domenica perché è il momento privilegiato per costruire la “famiglia di Dio”: sconfigge l’egocentrismo e la dispersione che segnano profondamente le nostre persone e l’intera società.
La comunità che celebra l’Eucarestia domenicale, per piccola e povera che essa sia, diviene il corpo di Cristo e quindi vive con le dimensioni di Cristo. La Messa, perciò, spalanca le porte del mondo alla comunità cristiana.
C’è un’importanza missionaria della Messa della Domenica.
I vescovi italiani hanno scritto: “La celebrazione eucaristica domenicale… dovrà essere condotta a far crescere i fedeli, mediante l’ascolto della Parola e la comunione al corpo di Cristo, così che possano poi uscire dalle mura della chiesa con animo aperto alla condivisione e pronto a rendere ragione della speranza che abita i credenti”. Non mi fermo qui a trattare esplicitamente della Messa quotidiana, che per tanti è qualcosa di molto prezioso.
C’è una dimensione missionaria, insita nella Messa domenicale, che è importante ricordare. La comunità cristiana, celebrando l’Eucarestia, si unisce a Gesù che va a morire per tutti, che prende su di sé le gioie, le speranze e i dolori del mondo intero. Per questo, la comunità (come ogni singolo credente) non può restare dimentica dei fratelli e del mondo. Il “sacrificio” della Domenica, se è Eucaristico, non può non continuare tutti i giorni. L’apostolo Paolo esortava così i cristiani di Roma: “Vi esorto, dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale” (Rm 12, 1).
Cari amici, “L’altare si trova ovunque, a ogni angolo di strada, in ogni piazza”, scriveva san Giovanni Crisostomo, legando appunto la Messa della Domenica alla vita di ogni giorno. La conseguenza è vivere e comportarsi come Gesù viveva e si comportava: là dove ci sono le tenebre essere luce; là dove c’è sofferenza, compassione; là dove c’è tristezza e angoscia, consolazione e speranza. La Liturgia Eucaristica domenicale ci mostra di che qualità è l’amore di Dio: un amore assolutamente esagerato che travalica ogni ragionevolezza. Scrive l’apostolo Paolo: “A stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto…ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,7). L’amore di Dio fa “uscire da sé”, come fece “uscire fuori di sé” Dio stesso, che: “ha tanto amato gli uomini da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3, 16). Il Natale è Dio che esce da se stesso per venire incontro agli uomini. Dio si fa missionario per la nostra salvezza.
Dice Papa Francesco: «È la messa, dunque, che fa la domenica cristiana! E a chi dice non serve andare a messa, nemmeno la domenica, perché l’importante è vivere bene, amare il prossimo, Papa Bergoglio risponde: «È vero che la qualità della vita cristiana si misura dalla capacità di amare», ma «come possiamo praticare il Vangelo senza attingere l’energia necessaria per farlo, una domenica dopo l’altra, alla fonte inesauribile dell’Eucaristia? Non andiamo a messa per dare qualcosa a Dio, ma per ricevere da Lui ciò di cui abbiamo davvero bisogno».
Cari amici, la domenica, privata del suo significato originario, privata dello spazio adeguato alla preghiera, al riposo, alla comunione e alla gioia, renderà «l’uomo chiuso in un orizzonte tanto ristretto da non consentirgli più di vedere il “cielo”. Allora, per quanto vestito a festa, diventerà intimamente incapace di “far festa”. E senza la dimensione della festa la speranza non troverebbe una casa dove abitare ed il Natale stesso diventerebbe un Natale senza Gesù.
Signore Gesù, quale grande amore e fiducia hai avuto verso di noi da affidarci te stesso, dal metterti nelle nostre mani. Donaci di essere fedeli dispensatori dei tuoi misteri; di non accontentarci mai di quanto viviamo perché in questo mondo di gente sola e preoccupata solo di se stessa, possiamo, insieme a Te, realizzare e vivere la Chiesa, famiglia umana costruita nel Tuo nome, nutrita dalla Tua Parola, resa forte dal tuo Santo Spirito.
Benedici la Chiesa di Cerreto Sannita-Telese-Sant’Agata de’ Goti, questa casa bella dove ci hai chiamato a vivere la nostra vocazione di sacerdoti.
† Giuseppe, vescovo