Omelia - Domenica di Pasqua 2020

La vera Pasqua è solo in chi ricuce la speranza

Carissimi, la Parola che oggi ci è donata ci accompagna a vivere la Pasqua di Gesù, la Pasqua di risurrezione. Neppure questa condizione che stiamo cercando di vivere, per un verso dura, per l’altro irreale, può distoglierci da quanto siamo chiamati a vivere insieme, dal desiderio di Dio di vita piena per l’uomo, per tutti. È una parola forte, impegnativa, che oggi la Chiesa deve annunciare e sente di annunciare con coraggio, speranza, fede. La Pasqua viene in un tempo di insicurezza, di paura, di fragilità, che coinvolge tutti, in modi diversi. Gesù è colui che nella sua esistenza è passato tra la gente beneficando e risanando tutti, ha accettato la croce per incontrarci nella nostra morte, nel nostro dolore, nella nostra disperazione, nei nostri silenzi, nell’esperienza del fallimento, quando tutto sembra finito.

È morto per farci rinascere a vita nuova. È venuto per essere il “Dio con noi”. Anche una notte come quella che stiamo vivendo può essere notte santa, notte che conosce l’ora e la luce della risurrezione. “Sono con voi tutti i giorni”.. è già vero.

Questo è il giorno della salvezza, il momento favorevole. Facciamogli spazio nella nostra vita, consentiamoci quel silenzio che è capace di accogliere l’ascolto della sua Parola. Impariamo a leggere e ad affidare quanto ci accade, impariamo a confidare in lui, impariamo il dialogo e la ricerca condivisa di quanto ci tiene in piedi, ci fa vivere, ci fa risorgere, ci costituisce prossimi dei più deboli, di chi fa più fatica, per essere prossimi di tutti.

Questo tempo di quarantena prolungata ce lo sta quasi regalando. In un momento così duro, possiamo riconoscere il valore del tempo, della riflessione, della preghiera, dell’attesa, per immaginare i passi possibili e quelli necessari; per assaporare già ora l’incontro sereno, affidato, agli occhi del fratello. Fratello, in questo tempo di quarantena cerco il tuo volto! Perché ho desiderio di uscire ma per ricostruire, ricomprendere, risorgere, con te.

Nell’andare, correre, insieme, al sepolcro, il discepolo amato arriva prima, vede già qualcosa, si ferma, aspetta l’arrivo di Pietro, perché entri prima lui a vedere e verificare quanto ha detto Maria. C’è qualcosa che contrasta con l’immagine che abbiamo dei discepoli prima della morte di Gesù: essi erano preoccupati di sapere chi fosse tra di loro il più grande. Ora non sembra così.

C’è una cura e un riconoscimento reciproco dei discepoli, c’è un attendersi, c’è un cogliere nell’altro il reciproco rapporto con Gesù. Al sepolcro di Gesù sembrano rinascere i segni di una fraternità ferita ma capace di camminare, di esserci. Quello che Gesù ha condiviso con loro c’è ancora. Si riconoscono reciprocamente per il loro rapporto con Gesù, non per altro. Al sepolcro non è interrotta la comunione, rinasce dai segni della sofferenza, del perdono, di un futuro vicino. È un rapporto nuovo perché è vivo. Affidiamo la nostra Chiesa, in questo momento storico, a questo movimento dei discepoli che ancora non hanno capito tutto ma si lasciano interrogare dalle parole, dai segni, da quanto accade. Nei segni delle bende e del sudario, vedono, accade di capire qualcosa, e credono. Vedono quanto Gesù aveva con loro vissuto e detto. La sua parola ora si compie in quei segni e nel loro cuore, nel loro essere insieme a cercarlo. Vedono e credono.

Ma voglio soprattutto soffermarmi su Maria di Magdala. È lei che corre per prima al sepolcro e per prima dai discepoli. È lei che si alza, si mette in cammino, nel cuore del passaggio dalla notte al nuovo giorno. Era ancora buio. Aveva freddo e certamente aveva paura. Non resiste Maria. Il Vangelo di Giovanni ci lascia questo grande dono del suo coraggio, della sua ricerca, della sua sete. Lei che non è stata frenata dalla sua paura neppure ai piedi della croce del suo Signore. Lei che si è trovata amata, cambiata, dal suo Maestro e Signore, che si era chinato su di lei, sulla sua povertà, ora non riesce a stare ferma per la sofferenza, per l’assenza del Signore.

Maria, inquieta, ci ricorda i momenti in cui non riusciamo a darci pace, siamo preoccupati, speriamo contro ogni speranza, aspettiamo e non sappiamo nemmeno bene cosa, preghiamo ma non sappiamo se la nostra preghiera è tale o è solo dichiararsi incapaci di pregare, di capire, di accettare, di aspettare. Quale ingiustizia! Il Signore che ha solo amato è finito sulla croce ed è morto. Perché? In quel corpo sembra essersi condensato tutto, tutta la storia che lega lei e gli altri a Gesù, tutta la sua vita. Lei non vede più. Si è fatto buio. Forse è proprio questo che la spinge. Non ce la fa a starsene inerte. Non maledice la notte, l’ha già benedetta correndo, consegnandosi. Non può fare altro, può solo alzarsi e andare.

Maria vede solo la pietra ribaltata dal sepolcro. È bellissimo questo movimento di Maria. Ancora di nuovo si alza e va. Non resta nel suo non capire, si muove. Fa qualcosa. Va dai discepoli. Ci dice qualcosa anche questo. Maria sa che il suo rapporto con Gesù non è cosa solo sua, la lega agli altri discepoli.

Maria, quanta sofferenza e quanta grazia per noi, regalata da questo tuo muoverti vero, gratuito. Tu non ti accorgi ma la tua ricerca continua a far vivere anche noi, ci rialza dalle nostre pigrizie, dal nostro essere ripiegati su noi stessi, sulle nostre paure. Nutre la nostra fede. “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!”. Maria va dai discepoli, ha bisogno di condividere con loro quanto sta accadendo, quanto non comprende: non sappiamo! Li sente vicini. Gesù le dirà subito dopo, va’ Maria, va’ dai miei fratelli: parola di Gesù che in lei conferma questo riconoscersi parte, e insieme con loro, chiamata ad annunciarlo. Maria, apostola degli apostoli! Oggi non leggiamo tutta questa parte bellissima del Vangelo. Ma torniamoci per ascoltare questa parola della Pasqua di Gesù nella nostra vita, prendiamola in mano in questo tempo in cui l’Eucaristia sta entrando nelle nostre case in modo diverso, a ricordarci che la Parola stessa, parte del sacramento dell’Eucaristia, può essere fermento nuovo nelle nostre case.

Gesù opera, la sua Parola opera, nel nostro cercare, nelle nostre domande, nella notte che ci sorprende. Non malediciamo quello che ci piega, ci mette in ginocchio, ma alziamo il capo. La resurrezione di Gesù oggi ce lo ricorda, ci ricorda la nostra dignità di figli amati. Negli occhi di Maria sembra annunciata oggi a tutto il mondo la parola della beatitudine, la beatitudine dell’amore di Dio che raggiunge le nostre vite proprio lì dove facciamo più fatica: beati voi poveri, beato chi ha fame e sete di giustizia, beati i miti, gli operatori di pace, beati quelli che piangono, beati coloro che attendono con speranza… beato chi si reca al sepolcro, chi attraversa la notte, chi crede alla parola di una donna che si rialza, chi corre a vedere, chi continua a cercare, chi si affida, a occhi aperti, fiducioso, in questa dolcezza di Dio capace di abbracciarti nell’ora più buia e difficile, capace di fare Eucaristia aprendo le nostre case alla speranza. Ti trae a sé con il suo amore, ti risolleva da terra, si china su di te, aiutandoti a fare memoria di tutte le volte che lo ha già fatto. Forse, Signore nemmeno noi avevamo ancora compreso. Siamo mendicanti di speranza e di luce.

È affidato a te, Maria, ancora oggi, di correre ad annunciare il volto del Risorto: l’ho visto, è lui! Tu che hai fatto fatica a riconoscere nei suoi occhi la quotidianità del tuo maestro, della sua parola, del suo ascoltarti. Qualcosa ti spinge a correre. È l’amore che vive in te. È il suo dono in te che ora arde per sempre. È già così mentre corri. I tuoi passi annunciano il senso di una ricerca possibile anche nel buio della notte. Forse ora ti capiamo un po’ di più. Il profumo degli unguenti arriva a dare dignità a ogni povero della storia. Quel gesto delicato, di cura, in mezzo alle lacrime, lo hai fatto per il tuo Signore e oggi, in questo tempo di pandemia, consola le case di chi si è visto strappare via un proprio caro.

Ma non finisce qui il tuo sentire, il tuo desiderio. Mentre corri stai ripensando a quello che il Signore ha costruito nella sua vita, con te anche. Forse pensi al vuoto che non saprai più colmare, all’incapacità di stare in piedi da sola. “Maria!” Sono io. È solo una parola che ti salva, Maria, a quel sepolcro. Tu volevi prenderti cura, ma sei tu che ricevi vita. Ti è restituito il tuo nome di amata, cercata, perdonata, compagna, figlia, sorella. Maria, non è finito nulla.

Anche noi abbiamo cercato nel tempo più duro della quarantena di spingerci verso l’altro, di toccare la voce, un messaggio, il ricordo di una quotidianità improvvisamente cambiata. Come te.. Maria… ci riscopriamo tutti discepoli inviati ad annunciare l’amore che vive. È l’amore che vince la morte, che è capace di sciogliere le catene più dure, di liberare il cuore, le parole, la memoria, di illuminare la notte inanellata al mattino del nuovo giorno, al mattino della Pasqua di risurrezione, per lasciarlo essere, per lasciarlo sorgere.

Carissimi tutti, penso al cammino che ci apprestiamo a vivere dopo la Pasqua, a partire da questa Pasqua inedita, segnata dalla sofferenza, dalle notti di tanti che stanno facendo più fatica. Tutti ci sentiamo chiamati a fare discernimento. Tutti. Le Istituzioni lo stanno facendo e sono chiamate a farlo con coraggio, lealtà, giustizia. Anche la Chiesa tutta si sta interrogando ed è chiamata a interrogarsi. Ce lo chiede la nostra coscienza, ce lo chiede il fondamento della nostra fede che oggi celebriamo.

Abbiamo tutti bisogno di vivere l’esperienza dell’incontro con il Risorto. È lui che ci attende. Lui che ha mangiato e bevuto con i suoi discepoli anche dopo la risurrezione, desidera mangiare e bere con noi. È lui che desidera ardentemente mangiare la sua Pasqua con noi. Dobbiamo avere e curare la speranza che le nostre Eucaristie diventino sempre di più condivisione reale, nelle nostre comunità, delle sofferenze, delle paure, della speranza. Condivisione reale del pane e del vino, del corpo dell’esistenza di Gesù e del suo sangue versato.

Se è il povero che è beato, se è nel povero che il Signore si lascia riconoscere e incontrare, come si è lasciato riconoscere nella nostra povertà, nella nostra personale notte, allora nelle nostre comunità i più poveri, quelli che fanno più fatica a vivere, non possono essere solo oggetto di attenzione, sacrosanta e necessaria, ora più che mai, ma soggetti di ascolto. Abbiamo bisogno di ricomprendere tutto a partire da loro, di cambiare il nostro sguardo su noi stessi, sull’altro, sulla storia, a partire da loro. Sono loro che ci indicano la via, come Maria lo ha fatto con i discepoli: “Venite, non sappiamo dove hanno posto Gesù”.

Ringraziamo insieme il Signore, che ancora oggi ci chiama a essere commensali del suo amore, interlocutori della sua Parola. Ci chiama a essere con lui e ci chiama a essere un po’ di più come lui. Andiamo dunque, è lui che ci precede nella Galilea di oggi, della nostra terra, che abbiamo da riscoprire insieme.

Quei discepoli che abbiamo visto incapaci di vegliare un’ora sola accanto a Gesù che soffre i dolori della morte, ora sono capaci di annunciarlo vivente. Presente nella loro vita e nella vita dell’altro, presente nella vita del povero. Sono capaci di annunciarlo con parole umane, nuove, di vita. Il discepolo fa esperienza, ogni giorno, della sua inadeguatezza, ma ancora di più fa esperienza di un amore che lo accompagna da sempre, che lo apre all’altro, lo fa essere vivo, appassionato, attento, in ascolto.

 II Dio della vita ti sorprenda. Risorga il tuo nome nella sua voce e il suo nella tua speranza.

Possa tu esserne il frutto. Possa tu diventare dono per l’altro ogni giorno di più.

Possa l’altro sempre meravigliarti con la sua presenza benedetta e benedicente.

Possa la memoria di questa presenza risorgere in te!

Buona Pasqua.

† don Mimmo, vescovo