SI PRESE CURA, in cammino da Gerico a Gerusalemme

“Va’ e anche tu fa’ lo stesso”

“I verbi del samaritano ci aiutano a svestirci della pretesa di essere autosufficienti, ci aiutano di fronte al rischio di assumere logiche di possesso e di prevaricazione. Essi rappresentano la magna charta di ogni uomo incontrato dall’umanità di Gesù.” 

(DALLA LETTERA PASTORALE DEL VESCOVO MIMMO “Coraggio. Alzati, ti chiama!”)

 

“Giovanotto, io non vedo niente.
C’è solo un po’ di nebbia
che annuncia il sole.
Andiamo avanti tranquillamente.”

(I MUSCOLI DEL CAPITANO, Francesco De Gregori)

Siamo giunti alla conclusione sui verbi del samaritano, proprio in questo giorno di Pasqua. Verbi che ci vengono consegnati come via dell’amore e della speranza. La risposta alla domanda “Che devo fare per ereditare la vita eterna?” è “Va’ e anche tu fa’ lo stesso”. Gesù ci dice chiaramente: “Imitate il samaritano, protagonista della parabola!”. Imitiamolo, facciamo nostri i suoi gesti: vide e ne ebbe compassione, gli si fece vicino (si curvò su di lui), gli fasciò le ferite, gli versò olio e vino, lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo, tirò fuori due denari, pagherà al suo ritorno. I verbi di una terra abitata dalla prossimità, cioè dalla cura e dall’attenzione per l’altro. “E chi è il mio prossimo?”, chiede un po’ provocatoriamente il levita. Gesù risponde e invita ognuno di noi a diventare Samaritano, ad avere compassione nella vicinanza per cercare e trovare la vita. Nostro prossimo è chi ha avuto compassione di noi: è chi ci ha visto, chi si è fatto vicino fino a curvarsi su di noi, chi ha fasciato le nostre ferite versandoci sopra consolazione e speranza, chi si è fatto carico di noi portandoci in un luogo per riposare e pagando di tasca propria al nostro posto. Non dimentichiamo mai chi ci ha soccorso e chi ha pagato per noi.

Ma anche chi ci ha aspettato, chi ci ha rimesso in piedi, chi ci ha aiutato a far rinascere la speranza. Non dimentichiamo di essere gratin per queste persone. Impariamo da loro e proviamo anche noi a fare lo stesso, a farci prossimi. C’è sempre una luce dentro ad ogni nostra notte. E’ l’evidente segno di una resurrezione che vuole emergere. Non con prepotenza o aggressività, ma con tenerezza e gentilezza. Cerchiamo sempre in quello che viviamo e nelle persone che incontriamo i segni della resurrezione. Ci sono sempre, in ogni situazione che viviamo, in ogni persona che incontriamo.

Dobbiamo solo avere gli occhi attenti ed il cuore disponibile per saperli scorgere. Possiamo trovarli negli occhi di quella persona che ci è passata accanto e si sente dannatamente ferita, possiamo trovarli sotto le coperte delle sofferenze fisiche e interiori tenute nascoste, possiamo scoprirli scavando in quelle profondità sepolte dalle amarezze, delusioni e malinconie che viviamo noi in prima persona. Il vero contrario dell’amore non è l’odio, ma l’indifferenza. La primavera però va avanti, continua a sbocciare. Non tiene conto né del disinteresse, né del male ricevuto, né degli scogli, né delle nebbie. Tra le tante sfumature del dolore c’è sempre un sogno che si fa spazio in mare aperto e vuole trovare un porto ristoratore e restauratore. Un sogno che si fa, piano piano, largo. Un sogno di attesa che si fa speranza. Un sogno che sale sul trampolino per consentirci di andare avanti e di ricominciare. E’ questa la Chiesa inviata da Dio. Una Chiesa dalle porte aperte, chiamata a continuare la stessa missione del samaritano.

In ognuno di noi continua a risuonare l’invito di Gesù all’esperto della legge: “Và e anche tu fà così”.