La sentivo nel silenzio e nell’odore della notte. Profumava d’infinito. L’infinita pazienza di ricominciare. Qualcosa che non avevo mai percepito così marcatamente in nessun altro luogo prima d’ora. E mi si era presentata davanti. Proprio a me. Non potevo crederci. Non per dirmi che era tutto definitivamente finito. Ma per rassicurarmi che ci sarà sempre una possibilità in più, nascosta da qualche parte, a volte nascosta anche fin troppo bene. Ma c’è, esiste, è viva. Impercettibile dentro ognuno di noi, ma non interrotta.
Testarda ma mite. Ostinata ma serena. Necessaria per afferrare qualcosa di concreto a cui aggrapparsi per scalare la parete, specie quando questa diventa più ripida e scivolosa. Riporta all’essenziale del continuare. Ho imparato ancora meglio, durante quest’esperienza (che non so ancora così ben definire perfettamente), che non bisogna preoccuparsi per ciò che si è provato a fare nel passato o per quello che dovrà avvenire nel futuro, ma di ciò che è ancora possibile fare nel presente. Proseguendo sempre a costruire sulle macerie che rimangono.
E’ quasi l’alba. Ed è stato dopo quell’ultimo incontro che mi sono ritrovata improvvisamente qui, su questa altura. In un luogo dove il tempo sembra essersi fermato. E, quindi, eccomi qua su questa cima. Ad ammirare il panorama dall’alto. Non si può rimanere indifferenti di fronte a tanta bellezza della natura. Osservarle da questo posto privilegiato, cambiando prospettiva, ha un non so che di confortante. Riporta alla realtà. Ad un certo punto tutto ciò che siamo abituati a vedere intorno a noi, ciò che ci opprime, ciò che ci appesantisce, ciò che ci soffoca e ci sovraccarica, da qui diventa più piccolo e distante non solo perché lo guardi da un’altra visuale. Ma perché, quelle problematiche a cui prima pensavi e ti rodevano il cervello, da qui le reputi inutili, superflue, dannose. Assumono così il loro reale significato.
Mi perdo tra ruscelli che scorrono e qualche uccello che, anche in questo freddo e nevoso venerdì, fa capolino. Poi il ronzio di un aereo, in un certo qual modo, guasta l’armonia, la favola che si stava creando. Poi guardo in alto e non vedo nessun aereo. E lì, capisco. Non è un aereo. E’ il suono sibillino e un po’ urticante del defibrillatore. Stanno provando a risvegliarmi. Capisco che tutto quello che avevo vissuto non era reale, ma le persone incontrate lo erano. Eccome, se lo erano, se lo sono. E’ la mia anima che ha voluto farmi fare un giro a riveder le vere stelle in un percorso davvero unico e rincuorante. Mi ritornano ancora alla mente le immagini di Alfonso che accarezza e bacia Fabrizio, di Laura che dà da bere dell’acqua a Maria, impossibilitata a farlo autonomamente. E, infine, di Fabio che, immobilizzato su una sedia a rotelle, si alza e fa pochi passi per andare ad abbracciare un vescovo. Da qui avvisto delle persone mettere in scena, con tanto amore, un presepe vivente nella contrada Sant’Anna di Cerreto Sannita. Quanta tenerezza! Le avevo cercate per tutta la vita tutte queste stelle del firmamento dell’umanità e finalmente le avevo trovate.
Ora potevo tornare alla realtà. Sono Chiara, ho 25 anni e ho fatto un gravissimo incidente stradale qualche notte fa, non ricordo esattamente quando. Ricordo solo che pioveva molto forte, quando mi trovai davanti un banco di nebbia abbastanza spesso. Poi un forte impatto. Infine il rumore di quell’urto che viene troncato all’istante. E’ avvenuto tutto molto rapidamente. Quello che so è che stanno provando a rianimarmi. Non so ancora se potrò ritornare alla vita. Una cosa, però, la so: grazie a questo viaggio, gentile concessione della mia anima, ho potuto visitare le varie stanze dentro di me. Posso ricominciare. Ho potuto comprendere che quel sperare passa dal fatto che le cose possono cambiare solo se io cambio prospettiva dello sguardo, se provvedo io per prima a provare a cambiarle. Ed anche quando non ci riuscirò, varrà sempre la pena di averci provato. Non con i fiumi di parole, ma con l’esempio. Più ci sono lettere pompose messe in fila una accanto all’altra, che vagano e si disperdono, più vengono costruiti castelli di aria che distruggono i buoni propositi e pasticciano con le grandi promesse. Non sono mai i colori in sè a fare la differenza. Ma le loro sfumature. Scuotono, nutrono. Profumi e suoni che stimolano. Parole che accendono. Amore che ascolta.
Negli attimi più tenebrosi, negli angoli più cupi del nostro percorso, anche in quelli è possibile riaccendere la luce. Bisogna ricordarselo e non perdersi d’animo. Non sempre è semplice. Perdere la speranza è la più terribile delle percezioni. Forse anche più della paura stessa. E, a volte, nell’ascoltare alcune storie si ha quasi quella sensazione di impotente vuoto, no? Quante volte l’abbiamo provato! Come se, appunto, non ci fosse più speranza. Ma, invece, c’è sempre, ora ne sono certa. E’ ovvio che non esiste una ricetta che possa trasformarci in meglio con la stessa facilità con cui mettiamo un like con un click. Ma l’importante, per me, era sapere, era ricordarmi che è possibile cambiare in meglio, che è possibile sapere che almeno una speranza ci viene sempre offerta. Per arrivare all’alba, l’unica via da seguire è quella di riconoscere, vedere e seguire le stelle durante la notte. Non ce ne dimentichiamo mai. L’alba ci aspetta. E’ già qui. E’ sempre stata qui. Davanti ai nostri occhi.