Caritas diocesane, le storie al confine tra speranza e rinascita

Si è chiuso giovedì 11 aprile, il 44.mo convegno delle Caritas diocesane. Da Trieste fino alla Sicilia, sono state tante le testimonianze dell’impegno dei numerosi operatori e volontari in tutta Italia. Bilancio positivo per il presidente di Caritas italiana, monsignor Carlo Redaelli: “È stata l’occasione per scambiarsi delle esperienze, vedere i cammini comuni e maturare insieme”

Sguardi di speranza, percorsi di rinascita, fiducia e attesa per un futuro migliore. Un filo invisibile, ma concreto, ha unito per 4 giorni i tanti operatori e volontari provenienti da tutta Italia, riuniti a Grado, in provincia di Gorizia, per il 44.mo convegno nazionale delle Caritas italiane, tenutosi nella cittadina friulana dall’8 all’11 aprile. Tante le testimonianze che hanno animato l’evento. Storie diverse, ma con un tratto in comune: la volontà di fare del bene e di aiutare il prossimo. Da Trieste fino a Ragusa, passando per Gorizia, Andria e arrivando fino in Sardegna, ad Ales-Terralba, diocesi del territorio più povero d’Italia.

I volti dei migranti

“Il nostro progetto è nato dalla collaborazione con la pittrice Adriana Torregrossa che ha realizzato 15 ritratti rappresentanti i volti di migranti, persone alla ricerca di altri esseri umani dispersi per le rotte di tutto il mondo”. Vera Pellegrino di Caritas Trieste illustra il progetto “I’m looking for”, in cui l’arte diventa il linguaggio per raccontare e comunicare il tema del viaggio e della ricerca dell’identità. “Abbiamo scelto questo tema perché riguarda ovviamente i migranti, ma riguarda anche tutti noi. Le cose fondamentali, in fondo, sono queste: cercare il senso della vita e la possibilità di realizzare la propria identità. Ed è proprio quello che cercano di fare i migranti arrivando da noi”.

Il salto del confine

A Gorizia, a pochi metri dal confine con la Slovenia, la Caritas locale gestisce l’Emporio dell’infanzia, rivolto a famiglie in difficoltà economica con bambini fino ai 13 anni. “Si tratta di un gesto concreto verso la realtà goriziana, ma non solo, perché abbiamo voluto superare il confine e guardare oltre – racconta Valentina Busatta, operatrice di Caritas Gorizia -. Nello specifico, abbiamo iniziato una collaborazione con un’associazione di Nova Gorica. Ci incontriamo ormai da due anni in Piazza Transalpina, la piazza storica al confine tra Gorizia e Nova Gorica, dove invitiamo tutti i bambini e le loro famiglie a passare pomeriggi di gioco e divertimento”. Non solo svago, però: “L’obiettivo è superare quel ruolo che spesso le famiglie sentono addosso, quella posizione di bisognosi che chiedono qualcosa. Noi vogliamo che si sentano semplicemente dei genitori che incontrano altri genitori. Quello che ricevi nell’Emporio puoi donarlo a tua volta, cambiando così prospettiva e consentendo di essere anche donatori e non più bisognosi”.

Supporto agli anziani

Legato agli anziani è il progetto “Accanto” di Caritas Andria, in Puglia: “La povertà ha assunto ormai diversi volti, nel nostro caso quelli degli anziani”, spiega don Mimmo Francavilla, direttore della Caritas locale. Una povertà non solo economica, ma anche sociale: spesso queste persone si trovano sole, con i figli o le famiglie lontane. “Organizziamo due laboratori, uno sulla pittura e un altro sulla narrazione dei propri vissuti, e coinvolgiamo gli anziani in queste attività – dice ancora don Mimmo -. Sono momenti di svago e di cultura. Noi non parliamo solo di povertà, ma anche di fragilità. E una persona anziana, da sola, inizia a mostrare tutte le sue fragilità. Il gruppo diventa una nuova comunità che si stringe intorno alle piccole o grandi preoccupazioni che possono attanagliare le persone di una certa età”.

Lotta al caporalato

Attraverso il progetto “Presidio” la Caritas di Ragusa punta invece sulla lotta al caporalato. Il direttore Domenico Leggio spiega come: “Interveniamo nell’insediamento di serre che si estende in un territorio di diverse decine di chilometri tra Marina di Acate, Scoglitti, Vittoria, all’interno della nostra diocesi. Qui lavorano tanti lavoratori immigrati: non solo uomini, ma intere famiglie con bambini vivono in strutture fatiscenti, magazzini che nulla hanno a che vedere con delle abitazioni. In un territorio in cui la mobilità è negata, a causa della scarsità di mezzi pubblici, anche il raggiungere i servizi, dall’istruzione alla sanità, diventa molto difficoltoso. Uscire da questa zona e riscuotere un proprio diritto ha un prezzo”. Il lavoro della Caritas di Ragusa ha incontrato i suoi ostacoli, ma lentamente sta rompendo alcuni meccanismi tipici di quella realtà: “Costringiamo le istituzioni, in un certo senso, a essere maggiormente presenti. La risposta è una grande fiducia che man mano cresce e ha attivato anche altre realtà come sindacati e onlus”.

Caritas, luogo di rinascita

Dalla diocesi di Ales-Terralba, nel sud Sardegna, arriva una storia particolare: “È quella di Nanni, un over 50, una persona troppo giovane per poter andare in pensione ma troppo vecchia per il mercato del lavoro”. A parlare è Stefania Pusceddu, della Caritas locale. Nanni ha trascorso una vita serena nel nord Italia, in cui il lavoro non è mai mancato, ma improvvisamente si è ritrovato senza nulla. “Ha deciso di ritornare in Sardegna, ma nemmeno qui ha trovato lavoro. Ed è caduto nella disperazione: si è trovato in una situazione di estrema indigenza, solo al mondo”. Poi ha incontrato gli operatori Caritas, trovando qualcosa che probabilmente non si aspettava: una famiglia, persone che l’hanno accolto e che l’hanno incoraggiato. “Con noi ha pianto, si è liberato, ha raccontato se stesso, ha condiviso le sue paure, ma anche qualche speranza. Insieme abbiamo iniziato a pensare a quali strade percorrere, alla fine ce l’ha fatta: Nanni ha trovato lavoro e dai qui ricomincia il suo sogno”.

Abitare i confini

“Sono stati giorni molto belli, è stata l’occasione per scambiarsi delle esperienze, vedere i cammini comuni e maturare insieme”. Sono le parole del presidente di Caritas italiana, monsignor Carlo Redaelli, a conclusione del convegno di Grado. “Abbiamo ascoltato delle ottime testimonianze, delle relazioni, ma abbiamo potuto anche pregare insieme e confrontarci sulla parola di Dio”. Per Redaelli il confine che va superato spesso “è dentro di noi, dentro la nostra testa e il nostro cuore. Dobbiamo metterci al posto dell’altro, essere capaci di accoglienza e di ascolto”.