Proprio stanotte, tornando a casa, ascoltavo alla radio dopo tanto tempo una canzone di Battiato, che s’intitola “E ti vengo a cercare”. All’inizio dice: “E ti vengo a cercare anche solo per vederti o parlare perché ho bisogno della tua presenza per capire meglio la mia essenza”. Dice “E ti vengo a cercare”, non “e andate voi a cercare che io me ne sto indifferente e comodamente a casa a farmi i fatti miei, a pensare solo ai miei interessi personali ed opportunistici”. Quindi tutto parte da noi stessi e da un movimento, da un andare, da una ricerca, da un prendere l’iniziativa, da un coinvolgersi e da un accompagnare per fruttificare e festeggiare (come dice papa Francesco: “non possiamo avere uno stile di Quaresima senza Pasqua”). Il cambiamento è questo. La vera rivoluzione è cambiare anzitutto noi stessi.
Già, cambiare noi stessi….perché tutto parte da noi stessi. Accogliere veramente dentro di noi il profumo del Vangelo significa cambiare con coraggio la nostra vita, il nostro modo di pensare e, di conseguenza, di agire, e di conseguenza significa contribuire anche al cambiamento del territorio nel quale viviamo. Perché se qualcosa cambia dentro di noi, nel nostro modo di relazionarci con gli altri e di raccogliere le loro sofferenze, le loro fatiche, le loro fragilità. Se qualcosa cambia dentro di noi nel modo di affrontare i nodi della nostra vita, se qualcosa cambia nel nostro modo di pensare e di cambiare prospettiva, nel nostro modo di guardare i nostri limiti per farli diventare opportunità. Se qualcosa cambia dentro di noi in tutto questo, qualcosa potrà cambiare anche intorno a noi.
Il cambiamento deve partire sempre, anzitutto, da noi stessi. Da noi, non dagli altri. Da ciascuno di noi che siamo qua stasera. Sempre. Ogni volta. Partiamo sempre da noi, provando a dare l’esempio. Si parte da noi….e partire da noi, significa, per esempio, che se siamo credenti non possiamo voltarci dall’altra parte di fronte ai soprusi e alle ingiustizie sociali che vediamo; significa, per esempio, che se siamo credenti non possiamo non esporci in prima linea e denunciare situazioni di degrado sociale e culturale di cui siamo a conoscenza invece di restare silenziosi complici; significa, per esempio, che se siamo credenti non possiamo restare indifferenti di fronte alla sofferenza degli altri e alle situazioni di disagio; significa, per esempio, che se siamo credenti non possiamo non dare voce ed ascolto agli invisibili, agli emarginati, agli esclusi, agli ultimi; significa, per esempio, che se siamo credenti non possiamo non avere cura degli altri e del territorio che abitiamo chiudendoci gli occhi e tappandoci le orecchie.
Siamo, dunque, chiesa povera e in uscita se quell’atteggiamento di povertà e di uscita parte anzitutto da noi. Siamo chiesa povera e in uscita se testimoniamo il profumo del Vangelo sempre e ovunque. Siamo chiesa povera e in uscita se abbiamo quest’attenzione, questa vicinanza concreta e questo ascolto rivolti al tessuto sociale del nostro territorio. Siamo chiesa povera e in uscita se siamo donne ed uomini credibili prima che credenti. Siamo chiesa povera e in uscita se inneschiamo processi più che occupare spazi, se evitiamo che le idee finiscano per separarsi dalla realtà (cioè stando attenti al contesto), se sviluppiamo una comunione delle differenze e una valorizzazione dei talenti del nostro territorio (costruendo alleanze, facendo rete), se siamo convinti che il tempo è superiore allo spazio (cioè che la qualità del nostro seminare non si misura dalla quantità del numero di persone che segue l’esempio) e che il tutto è superiore alla parte, se consideriamo i mali del nostro mondo come delle sfide per crescere. Siamo chiesa povera e in uscita se ci sforziamo di essere noi il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo.
In che modo? Parlando con l’unico linguaggio possibile: quello dell’amore, quello del donarsi gratuitamente con amore osando e costruendo speranza e giustizia sociale, fidandoci e affidandoci a Lui con tenerezza, tenacia e coraggio, parlando il linguaggio dell’esempio concreto da dare mettendo in pratica il Vangelo. E’ questo l’annunciare il Vangelo, la buona notizia. Non abbiamo bisogno di maestri, ma di testimoni che diano l’esempio, sforzandoci di assomigliare alle parole che diciamo e in cui crediamo o in cui diciamo di credere.
Noi dobbiamo essere quei testimoni! Attenzione, però, non per un dovere imposto da svolgere, ma perché l’altro che ha bisogno mi sta veramente a cuore, perché non posso ignorare la terra dove vivo che emette il suo grido di dolore per distorsioni sociali che subisce, perchè depredata, derubata e violentata da cause varie che noi stessi, con i nostri comportamenti e con le nostre scelte, abbiamo provocato. Tutto ciò m’interessa, mi sta a cuore, perché voglio provare a cambiare lo stato delle cose che non vanno alla luce del Vangelo.
L’augurio che sento di rivolgerci è che possiamo essere sempre più dei laici inquieti. Lo traduco ancora meglio con le parole di don Primo Mazzolari: “Le più belle pagine della chiesa sono state scritte dalle anime inquiete. Non da coloro che trovano tutto a posto, che non avvertono nessuna stonatura, che placidamente si svegliano, mangiano, ruminano, s’addormentano e ricominciano daccapo”. Proviamo ad andare sempre oltre un’adesione formale al Vangelo che rischia, a volte, di essere identificata più con il rispetto di un catalogo di statiche regole ed istruzioni, di meccaniche norme, tradizioni e consuetudini che non con una passione autentica per il Signore e per l’umanità. Le regole e le tradizioni dovrebbero essere alcuni dei mezzi, non il fine.
Quindi, provo a ricapitolare con un’espressione: fare del Vangelo la scelta della nostra vita. Come? Riscoprendo la gioia del Vangelo, partendo anzitutto dalle fatiche, dalle ferite, dalle fragilità e dagli ostacoli della nostra vita perché si possa essere chiesa povera ed in uscita proprio a partire dalle nostre fatiche, ferite e fragilità (dal come le si guarda, dal come le si affronta per rialzarsi) per andare verso le fatiche, le ferite e le fragilità degli altri. In che modo? Il modo è essere noi stessi il cambiamento che vogliamo vedere nel nostro territorio, provando a dare l’esempio. Qui ed ora. In questo momento favorevole. E allora, coraggio: si può fare! Noi di Azione Cattolica, come sempre, proveremo a fare la nostra parte lanciando semi di concreta speranza come “futuro presente” nella Chiesa della nostra Diocesi, come operai di un sogno di Chiesa nella nostra Diocesi. Una chiesa che sia leggera laddove il termine “leggera” non va inteso come superficiale, ma “leggera” inteso come senza pesi inutili, “leggera” inteso come essenziale, che trova cioè la sua essenza nel cuore del messaggio di Cristo, cioè in quell’ama il prossimo tuo che incontri, che vai a cercare, come te stesso. E quell’acqua dell’essenziale possiamo cercarla solo a partire dal nostro deserto e dai deserti che ci circondano. Per essere sempre più custodi dell’essenziale. E qui ritorna la canzone di Battiato. “E ti vengo a cercare perché ho bisogno della tua presenza per capire meglio la mia essenza”.
Giovanni Pio Marenna, presidente diocesano di Azione Cattolica *
* intervento al convegno del Meic “Per una Chiesa povera e in uscita. Cultura, comunità, fragilità sociali” di sabato 11 marzo 2017 a San Salvatore Telesino